03Il partito dei Sindaci apre il 2019 con una clamorosa mossa politico-istituzionale: il rifiuto di applicare il “decreto Salvini” sull’immigrazione. A rischio di illegalità la protesta dei primi cittadini, a forte probabilità di incostituzionalità il decreto. Dentro questa spirale si apre un contenzioso serio il cui esito è incerto, ma il cui effetto porterà, quasi sicuramente, a seguito della denuncia promossa dal Ministro dell’Interno contro i Sindaci ribelli, a una richiesta di pronuncia della Corte Costituzionale sul decreto stesso.
«A Palermo difendiamo l’unica razza: quella umana. Non ci sono migranti a Palermo: chi vive a Palermo è palermitano. E chi distingue gli esseri umani secondo le razze prepara Dachau e Auschwitz» https://t.co/iKEZ57TXRg
— L’Espresso (@espressonline) 2 gennaio 2019
Il conflitto di “poteri”
Il punto, però, che la vicenda solleva non è giuridico, ma profondamente politico. Nella storia delle Istituzioni, democratiche e non, ci sono sempre stati degli atti di rottura formali e sostanziali, interni al sistema (quindi non “rivoluzionari”) tra il potere costituito, ancorché legittimamente eletto, e coloro, persone o movimenti, che ravvisino nelle scelte dello stesso delle gravi violazioni della libertà o dei diritti personali o collettivi. È stato così nella storia dei movimenti per i diritti civili; basti pensare alle lotte per l’emancipazione delle minoranze, in Sud Africa o negli Stati Uniti; ma, per restare in Italia, alle battaglie dei Radicali per i diritti civili. È stato così per le lotte operaie o delle donne. Nella maggior parte dei casi, quelle che, mentre accadevano, apparivano, o erano davvero, azioni illegali, per le quali i protagonisti hanno pagato in proprio, con l’emarginazione, il carcere o peggio, sono poi diventate tessere costitutive del mosaico che ha dato forma alla moderna civiltà dei diritti e della solidarietà. Ciò non significa che chi compie gesti di rottura non debba subirne le conseguenze immediate; ma, significa, che bisogna guardare a questi avvenimenti con l’occhio già rivolto al futuro e discernere tra l’atto in sé – punibile talvolta, anche se non condannabile – e ciò che esso provoca e propone.
Tanto più un questo caso nel quale il conflitto non è tra lo Stato e i suoi cittadini, ma “tra” lo Stato. Un conflitto tra potere entrambi democraticamente eletti, sia pure con compiti diversi, ma, sostanzialmente, alla… pari!
Al di là, dunque, del merito del provvedimento di legge del Ministro Salvini – chiaramente lesivo dei diritti di cittadinanza e di accoglienza propri della nostra “comunità” nazionale, qual è quella nata dalla nostra Costituzione – si configura un delicatissimo problema di attribuzioni e di poteri che va in profondità della stessa democrazia.
La vicenda di Mimmo Lucano
Qualche settimana fa, questo problema era stato annunciato dalla vicenda giudiziaria, isolata e ben presto dimenticata, del Sindaco di Riace Mimmo Lucano. Dopo un iniziale sostegno, in parte strumentale al merito della questione accoglienza, più che al precedente istituzionale che si apriva, la vicenda fu accantonata, come troppo spesso succede nella concitata cultura mediatica, sempre affamata di novità.
#DirittiATestaAlta #Palermo 70 anni fa per la prima volta nella storia dell’Umanità si è codificato che può esistere una differenza fra il diritto degli stati e i diritti della persona umana e si è affermato con chiarezza che prevalgono i diritti della persona umana. pic.twitter.com/PcUH1gs06E
— Leoluca Orlando (@LeolucaOrlando1) 10 dicembre 2018
Ora, il problema scoppia in grande stile e sarà difficile liquidarlo in pochi giorni. Ed è bene che ciò non avvenga. È bene, invece, che, la costituzionalità, o meno, del decreto venga affrontata dalla Corte il più presto possibile e che, al tempo stesso, la discussione sulla cesura democratica, apertasi con la rivolta dei Sindaci, porti ad una riflessione approfondita sulla struttura della nostra democrazia e sulla necessità di rimodellarne i poteri e le attribuzioni. Nel momento in cui il Governo è impegnato a definire le forme di autonomia delle Regioni, mentre si allarga il fronte dei richiedenti; proprio quando riappare nel dibattito la riduzione del numero dei Parlamentari e, dunque, una riforma delle Camere, è pensabile non affrontare, in chiave estensiva, le prerogative del potere degli Enti locali, in particolare dei comuni, per competenza e per elezione diretta, quello più vicino ai cittadini? Questa occasione ci è data da una modalità che non è probabilmente quella che si poteva preferire, ma saper cogliere il suo significato è il compito di una classe dirigente lungimirante. Ma, forse, questo è uno dei problemi della nostra epoca, nella quale i popoli sembrano portati a scegliere non coloro che danno risposte alle diffuse paure contemporanee, ma coloro che li rassicurano e basta.
Anche per questo gli esempi positivi contano. Il discorso di fine d’anno del Presidente della Repubblica agli italiani ha avuto il duplice merito di rassicurare e di indicare la strada. Evocando valori condivisi e dando significato alla semplicità delle aspettative delle persone, delle famiglie, dei giovani, dei più deboli. Non si è trattato di buonismo, ma di buona politica. Quel tipo di politica che sembra mancare nei balconi del potere e scarseggiare nelle piazze.
Rivedi il discorso di fine anno del Presidente #Mattarella, il video integrale ?https://t.co/oHrfe8SKOr
— Quirinale (@Quirinale) 31 dicembre 2018