Assistiamo ogni giorno a iniziative, convegni, conferenze, che parlano della nostra città e del suo destino. Leggiamo costantemente idee, proposte e anche tante (troppe!) polemiche. Venezia è comprensibilmente oggetto di un interesse crescente. Perché, allora, l’European cultural heritage summit, la quattro giorni su Venezia, sul suo futuro e l’Europa, organizzati da “Europa Nostra” alla Fondazione Cini (21/24 settembre), presenta un particolare interesse?

Abbiamo alla spalle un’estate brillante, iniziata col G20 Economia e conclusa con questo summit di Europa Nostra. Nel frattempo una molteplicità di iniziative culturali (basta citare la biennale Architettura), di costume (le due sfilate di moda alla Certosa e a San Marco), oltre a tutti gli appuntamenti di rito (Regata, Mostra del Cinema, Campiello). Senza dimenticare il decreto del Governo che blocca il passaggio delle grandi navi nel bacino di san Marco. Venezia ritorna al centro dell’attenzione mondiale, soprattutto in questa fase di post pandemia, nella quale si avverte il bisogno di condividere relazioni e speranze.

Tutto bene, dunque? Fino a un certo punto. Dietro l’immagine positiva e spettacolare della Venezia illuminata dai riflettori globali, i problemi della vita quotidiana e della prospettiva di sviluppo della città sono tutti aperti ed irrisolti. Il rapido ritorno del turismo di massa, ben accetto dopo due anni di vuoto, già preoccupa molti operatori economici (albergatori, commercianti di qualità) che vedono i rischi di una economia tutta dipendente da questa voce e della quale sarebbe interessante capire dove finisca il Pil che produce. La città insulare che sempre più si spopola (fenomeno che ormai riguarda anche Mestre!) con la conseguente crisi dei servizi ai residenti (sempre meno negozi di vicinato, sempre meno addetti alla manutenzione ordinaria e, notizia recente, sempre meno farmacie…). Al tempo stesso crescono i servizi per il turista mordi e fuggi (food e chincaglierie non made in Venise). Queste due città convivono, ma si ignorano. Quanto potrà reggere questo dualismo? Quanto la Venezia straordinaria potrà reggersi in assenza della città ordinaria?

L’evento di Europa Nostra si inserisce proprio in questa contraddizione, con un approccio diverso da altre iniziative per almeno due caratteristiche.

La prima: Venezia, in questa conferenza, non viene analizzata come una cavia studiata in vitro, da sezionare impietosamente, tirandone fuori tutte le… magagne e debolezze, esponendole all’indignazione globale. Non che non sia stato fatto, nel corso di questi tre giorni, un lucido esame – come è giusto e doveroso che sia – della fragilità oggettive; dei problemi gravi che la appesantiscono; degli errori, molti e diffusi, delle Istituzioni, della politica e delle forze economiche e culturali.

Ma il taglio che Europa Nostra ha voluto dare alla discussione su Venezia è l’ascolto. Ascoltare le  voci della città viva, abitata e operosa. Se si parte dalla condizione reale di una comunità, dalla vita delle persone, dalle attività individuali e collettive,  è abbastanza naturale orientarsi più sulle potenzialità che sui limiti e cercare le soluzioni.

E’ un modo non scontato di parlare di Venezia, soprattutto da parte di una Istituzione internazionale. Senza fare sbagliati confronti, si pensi al ruolo importante che svolge l’Unesco: tramite la politica dei siti “patrimonio mondiale” è un attore influente e di sicuro interesse economico per il Veneto che ne detiene ben otto. Eppure, come dice Paolo Baratta nel suo recente libro “Il giardino e l’Arsenale” (Marsilio), la sua attenzione per Venezia è sbilanciata su un approccio tutto conservativo della struttura ambientale e monumentale e sottovaluta la componente vitale della città; il suo essere un ”organismo vivente complesso”, alimentato da un tessuto economico e sociale indispensabile e dinamico.

Al contrario, molti interventi, altrettanto importanti, di operatori economici e, in molti casi, della stessa giunta comunale, antepongono alla salvaguardia dell’ambiente uno sviluppo economico fine a se stesso.

Sono approcci che non aiutano a trovare le soluzioni, che stanno in un equilibrio, difficile senza dubbio da realizzare, tra salvaguardia e sviluppo. Per fare un esempio: da un lato ci sono dei limiti invalicabili, come il gigantismo navale da bandire da tutta la Laguna, non solo da San Marco. Al tempo stesso, ci sono delle potenzialità, come lo sviluppo green di Marghera, che necessita di interventi di bonifica, ma anche di manutenzione programmata delle vie acquee. Così per l’ambiente: bisogna salvare il Montiron dallo scempio ambientale prospettato, ma, al tempo stesso, bisogna garantire ai residenti a Burano un rapido accesso alla terraferma, come giustamente richiedono.

Il secondo motivo di interesse è che Europa Nostra a Venezia è riuscita in una impresa rara: mettere  insieme negli stessi panel del Convegno, enti, soggetti, che normalmente non si parlano, o che, quando non si scontrano, si ignorano…

L’approccio divisivo ai problemi è uno dei grandi limiti di questa città, purtroppo alimentato dall’Amministrazione in carica. Questa divisione accentua la frantumazione dei movimenti e delle associazioni, sicché non solo il confronto tra tesi diverse è troppo spesso radicalizzato, ma anche chi opera nello stesso campo culturale e politico tende ad agire  per conto suo, nel proprio spazio, senza un vero interscambio e senza una regia che porti le differenze a fattor comune. Questo è il compito della politica, ma iniziative come questa aiutano i decisori a prendere le decisioni giuste.

E questo è il momento. Il dramma della pandemia ci consegna una responsabilità straordinaria: ripensare a un modello di crescita dove la separazione tra cultura, ambiente, produzione, industria, distribuzione, scompaia a favore di una prospettiva unitaria e integrata.

Chi ha pagato indicibili prezzi personali, famigliari, aziendali, in questi due anni di Covid, chiede di tornare alla normalità. Ma quale normalità? Se pensiamo a Venezia  non certo, come ho sopra descritto, quella esasperante del turismo mordi e fuggi; non quella dello spopolamento della città che la rende sempre più priva di bambini e di servizi; non quella del degrado ambientale.

Serve, dunque, una visione che rovesci il paradigma economicista che ha caratterizzato lo sviluppo recente, a favore di una crescita che misuri la qualità dello  sviluppo con la stessa passione con la quale nei tempi pre Covid ci si è occupati di guardare alle quantità.  Per rovesciare uno slogan riuscito, ma sbagliato, serve una… crescita felice.

Venezia è il luogo privilegiato per sperimentare questa originale prospettiva che definirei… culturale, oltre che economica. Lo dice chiaramente l’Appello, condiviso coi Comitati Privati per Venezia,  che Europa Nostra ha lanciato al termine del summit.

Si deve andare in questa direzione all’interno di un’ottica non localistica, ma europea. E’ l’Europa, con la sua storia, la cornice nella quale un nuovo progetto per Venezia si realizza. Il Ministro Franceschini, presente all’incontro, ha parlato di “rinascita europea”.

“Non è più il tempo delle buone intenzioni” ha detto, nel suo intervento, il Presidente della Biennale Roberto Cicutto. Ma è stata soprattutto la vulcanica e autorevole Presidente di Europa Nostra, Sneska Quaedvlieg-Mihailovic a ribadire, nelle conclusioni,  che è urgente avviare “un’azione concreta e condivisa”, candidando Europa Nostra ad Ambasciatrice per promuovere il “Venice call to action”. E’ un’idea da sostenere.

Ma, forse, è arrivato anche il momento che siano i veneziani stessi ad intestarsi, in prima persona, il cambiamento necessario.

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