Questo fine settimana si è svolta alla fiera di Roma la Maker Faire, il più grande evento europeo sull’innovazione, la robotica e l’intelligenza artificiale, che riunisce innovatori, maker, ricercatori, startup, aziende, enti governativi e appassionati da tutta Europa. Un evento straordinario promosso dalla Camera di Commercio di Roma e che ha visto presente Roma Capitale con uno stand della Casa delle Tecnologie Emergenti. Insieme con la vicepresidente della commissione Roma Capitale, Statuto e Innovazione tecnologica Antonella Melito abbiamo visitato i diversi padiglioni della fiera dedicati alla IoT, alla Smart City, all’economia circolare, al gaming, allo sviluppo dell’intelligenza artificiale e alla robotica. E proprio su questo ultimo tema voglio condividere una riflessione sul prossimo futuro.

La prossima evoluzione tecnologica è ormai già in corso. Gli ordini di robots industriali a livello globale sono cresciuti in maniera esponenziale. Nel 2003 erano 83 mila, 400 mila nel 2016. Ad oggi ci sono oltre 550 mila nuovi robot entrati in servizio nell’industria, con una crescita stimata al rialzo del 5% rispetto all’anno precedente. Il loro costo per l’acquisto e l’utilizzo è già ora tra i 10 e i 20 dollari l’ora negli Stati Uniti, ben al di sotto del costo orario di un operaio specializzato del settore manifatturiero.

È fuor di dubbio che il progresso tecnologico, la globalizzazione e l’intelligenza artificiale semplificheranno le nostre vite e creeranno in futuro nuove opportunità di lavoro qualificato. Basti pensare che il 63% dei lavori eseguiti nel 2020 nemmeno esisteva nel 1940. Tuttavia la rivoluzione robotica è anche destinata a generare perdite occupazionali importanti in settori in declino e destinati a scomparire. Secondo le stime internazionali entro il 2040, 85 milioni di posti di lavoro potrebbero essere sostituiti da una diversa suddivisone del lavoro tra uomo e macchine. I settori più a rischio sono quelli della vendita al dettaglio, della ristorazione e dell’ospitalità. Oltre ovviamente al settore dell’elettronica e a quello manifatturiero. Pensiamo ad esempio anche ai robot e ai droni per le consegne già operativi in alcuni stati degli Stati Uniti d’America.

A fronte della perdita di posti di lavoro cosiddetti di routine, ovvero caratterizzati da mansioni ripetitive e di conseguenza facilmente replicabili da una macchina, si assisterà ad una crescita di nuove professioni, calcolata in circa 97 milioni di unità. Questo numero sommato all’inverno demografico stimato in circa 30 milioni di lavoratori in meno nel 2040, fa ipotizzare un saldo positivo in termini numerici fra lavori persi e creati. Tuttavia è assolutamente necessario che la politica si interroghi rapidamente sul come formare e sostenere quei lavorarci le cui funzioni saranno in tutto o in parte automatizzate e sul come ridurre le disuguaglianze fra chi svolgerà professioni altamente qualificate a svantaggio di chi invece svolgeva un lavoro routinario. La grande questione politica dei prossimi anni sarà quella di trovare politiche di welfare in grado di compensare l’aumento della produttività e la riduzione dei costi sul lavoro con la probabile crisi economica e sociale che colpirà alcune fasce della popolazione. Peraltro dobbiamo ammettere come l’Italia parta già in forte ritardo sulla formazione professionale continua, con una partecipazione da parte degli adulti ferma al 20%. Un dato sorprendente viste le ormai cicliche crisi economiche che hanno recentemente colpito settori strategici come quello del turismo e del trasporto aereo.

Il nostro è un sistema di welfare fortemente sbilanciato in favore di chi ha sempre avuto forme di lavoro stabile e che nonostante i grandi cambiamenti introdotti negli ultimi anni dalle diverse forme di lavoro flessibile ed autonomo, non ha saputo ancora trovare valide forme di sostegno al reddito, se si fa eccezione per il reddito di cittadinanza, che tuttavia come misura a carattere universale di per se non ha gli strumenti per far evolvere chi lo percepisce verso forme di emancipazione lavorativa.

La rivoluzione tecnologica deve essere necessariamente accompagnata da una riforma del sistema di welfare che deve riuscire ad offrire supporto ad una platea di beneficiari che avranno esigenze diverse e mutevoli nel tempo. Le tante piccole misure frammentate in bonus una tantum poco efficaci, se non per racimolare qualche consenso estemporaneo, dovrebbero essere consolidate e unificate in un’unica misura capace di tamponare i momenti di crisi del reddito per consentire a chi ne usufruisca di tornare nel mondo del lavoro nel più breve tempo possibile, senza che la perdita del proprio reddito influisca in maniera determinante sulle sue condizioni economiche, sociali e psico-fisiche.

Alla classe politica di questo decennio spetta una responsabilità imponente. Le tantissime risorse provenienti dai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sulla transizione digitale, verde ed energetica devono essere investite per creare nuove opportunità di lavoro e dovranno poter essere necessariamente misurate attraverso la valutazione del loro effettivo impatto sociale ed ambientale. Altrimenti non aiuteranno le migliaia di persone che subiranno la rivoluzione robotica, non sosterranno gli investimenti delle imprese private verso l’aumento della produttiva e resteranno solo come debiti pubblici enormi che peseranno sulle generazioni future per molto tempo.

Non dobbiamo avere paura del futuro. La tecnologia, la robotica e l’uso consapevole dell’intelligenza artificiale sono le nuove frontiere dell’evoluzione umana. Tuttavia come tutte le rivoluzioni devono essere accompagnate da politiche pubbliche che ne sappiamo mitigare le esternalità negative, esaltandone quegli aspetti che riusciranno a migliorare la qualità delle nostre vite.

(dal blog di Riccardo Corbucci)

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