Il Consiglio dei ministri lampo sulla vicenda Carige ha aperto una polemica destinata a non chiudersi a breve. Come è stato da molte parti evidenziato, quello deciso dal governo Conte è, di fatto, un intervento fotocopia di quanto già deciso dai precedenti governi Renzi e Gentiloni in materia di banche. Come mai una coalizione che ha fatto della contestazione alle scelte finanziarie della scorsa legislatura uno dei suoi principali cavalli di battaglia elettorali non è riuscita, alla prima prova, a far qualcosa di diverso, innovativo, migliore, ma si attesta sul solco già tracciato? La risposta va ben oltre il reale o presunto conflitto di interessi del Presidente del Consiglio, o la dimensione quantitativa dell’aiuto di Stato, ma sta, più semplicemente, nella complessità del governare.

 

L’insostenibile leggerezza del governare

“Governare è difficile e non si improvvisa. Si può sbagliare, ovviamente, ma non inventare. Tutto ciò che è successo in questi mesi di governo ne è la prova.

Governare è difficile e non si improvvisa. Si può sbagliare, ovviamente, ma non inventare. Tutto ciò che è successo in questi mesi di governo ne è la prova. La trattativa con l’Europa – conclusasi con un compromesso onorevole per il Paese, ma disonorevole per chi aveva sostenuto che avrebbe schiacciato gli euroburocrati e la Commissione ; la gestione degli immigrati – che sta producendo un rischio sociale senza precedenti ; il sostegno ai gilet gialli – che conferma la genetica ambiguità istituzionale dei 5 Stelle, sobillatore ed, al tempo stesso, contenitore politico di tensioni extra parlamentari (altro che il famoso partito “di lotta e di governo”) – dimostra, anche nelle liti pubbliche tra gli azionisti del governo, quanto è irresponsabile esasperare lo scarto tra promesse elettorali e compatibilità obiettive; ma, soprattutto, quanto, nel governare, il compromesso o la mediazione sono modalità inesorabili e, diciamolo chiaro, “virtuose”.

Il populismo che oggi è all’origine di questa esperienza di governo è oggettivamente (anche se non ancora politicamente) fallito. Non è semplice far passare questo concetto tra l’opinione pubblica, ma è indispensabile non rinunciare a farlo, anche controcorrente. Perché una cosa è l’onestà, la trasparenza e la sobrietà dei politici, indispensabili presupposti per chi ha responsabilità pubbliche, un’altra è confondere questi valori costitutivi con la demagogia e il semplicismo.

 

Carige, la fine della propaganda

Ciò vale per tutti gli argomenti che chi governa deve affrontare, ma ancor di più se parliamo di finanza e di banche. E, il decreto Carige smonta, di colpo, tutta la propaganda di questi anni. Quando il Senatore Borghi sostiene (giustamente!) che il provvedimento di salvataggio è stato fatto per evitare la corsa agli sportelli (esattamente quanto è successo per le Venete), afferma che l’interesse dei cittadini risparmiatori coincide, in questo caso, con il salvataggio della banca; rendendo, così, ridicola l’affermazione, che si è sentita in queste ore, secondo la quale il governo attuale ha salvato i risparmiatori e quello precedente le banche. Anche perché la penalizzazione del valore delle azioni è, in generale, tutta precedente agli interventi pubblici che, semmai, i decreti governativi registrano, arginandoli (vedi Mps).

 

Le contraddizioni M5S-Lega sul fondo per i risparmiatori truffati

Proprio la vicenda del risparmiatori testimonia clamorosamente la contraddittorietà con la quale si è affrontata la questione finanziaria. Ricordiamo la polemica contro il “danno ingiusto”, da noi assunto come parametro per decidere, tra i risparmiatori, anche azionisti, gli aventi diritto al ristoro. E ricordiamo, in alternativa, la tesi del rimborso a prescindere, per il solo fatto di possedere delle azioni, perché le banche sono cattive in sé. Questo concetto non ha retto alla prova della governabilità e, infatti, il principio del “danno ingiusto” è rimasto nell’ultimo provvedimento approvato.

Nel momento in cui si aumentano positivamente le risorse disponibili (come, peraltro, raccomandato all’unanimità dal Parlamento lo scorso anno), ma si restringe la platea dei beneficiari introducendo dei criteri di ristoro (fino al 30% e massimo 100 mila euro). Il che fa pensare che le risorse destinate non saranno tutte spese. La costruzione di “tesoretti” (altra accusa fatta ai governi precedenti) sembra essere molto praticata in questa legge di bilancio. Infatti, sia per quanto riguarda le pensioni che il reddito di cittadinanza sembra probabile che siano state stanziate risorse maggiori di quelle necessarie, visti i criteri progressivamente restrittivi che ci si aspetta di leggere nel decreto definitivo…

Tornando ai risparmiatori, si sostituisce l’arbitro indipendente (Anac o Consob che fosse…) abilitato a decidere chi è quanto erogare, con una Commissione di nomina governativa, politicizzando, così, un’operazione che, per sua natura, deve essere del tutto indipendente da qualsivoglia logica politica.

 

Quale sarà il futuro di Carige?

Ora Carige potrà, a seguito del decreto, godere di una garanzia pubblica (così avvenne anche per Mps e le Venete). Ma non basta: serve una ricapitalizzazione. Il primo coinvolto è Malacalza, socio principale; ma, in ogni caso, non potrà da solo risolvere il problema. Come annunciato dagli stessi Commissari c’è bisogno di alleanze (o di compratori).

“Il mercato reagirà? È auspicabile di sì, tanto più che stiamo parlando di una banca che oltre ad essere una dei primi 10 Istituti italiani è a Genova, città martoriata dalle vicende recenti e quanto mai bisognosa di un rilancio e non di affrontare una nuova crisi.

Il mercato reagirà? È auspicabile di sì, tanto più che stiamo parlando di una banca che oltre ad essere una dei primi 10 Istituti italiani è a Genova, città martoriata dalle vicende recenti e quanto mai bisognosa di un rilancio e non di affrontare una nuova crisi. Nel caso delle Venete ciò non avvenne (“bastava” 1 miliardo) e fu proprio l’indisponibilità del mercato (investitori, fondi, imprenditori) a portare la crisi ad un punto di irreversibilità che si concluse, fortunatamente, con l’intervento di Intesa San Paolo.

Se dovessimo trovarci nella situazione peggiore che succederà? Di Maio parla di nazionalizzazione. Ovvero ciò che fu fatto per Mps. Ma farebbe bene a ricordare che la differenza tra Mps (che fu “nazionalizzata, sia pure a tempo) e Venete fu proprio la presenza o meno di altri soggetti privati. In Mps le Generali, nelle Venete nessuno… Il compito del governo, quindi, non può fermarsi alle garanzie date, ma deve attivarsi per trovare partner privati. Solo così sarà possibile salvare la banca, o perché si ricapitalizza e si rilancia restando privata, o perché si interverrà con risorse pubbliche senza che ciò si configuri come aiuto di Stato. L’alternativa è il bail-in. Ma sarebbe una soluzione disastrosa, non a caso finora evitata.

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