Stiamo vivendo un periodo angoscioso, dove si registra un arretramento culturale senza precedenti. Questa affermazione, che può sembrare forte, è purtroppo supportata da dati di fatto inequivocabili. Come primo elemento di preoccupazione notiamo una divisione e una frammentazione sociale spiccata: spesso le rappresentanze sociali operano in concorrenza tra di loro avendo smarrito un patrimonio inestimabile di minimo comune denominatore strategico di visione della società.
Anche la scelta storica cislina partecipativa, da promuovere con tutti gli sforzi, rischia di diventare divisiva anziché fungere da collante. La politica governativa è arroccata sulla gestione del potere e tutti gli sforzi sono concentrati nella campagna comunicativa, giustificando i magri risultati macro-economici.
Nell’opposizione non si intravede ancora un progetto comune per un’alternativa di governo, ma piuttosto si radicalizzano le posizioni dei partiti, rischiando di continuare ad avvantaggiare la maggioranza che, anche se arranca, dimostra grande bravura nel districarsi tra i vari dossier aperti, utilizzando argomentazioni identitarie e di distrazione di massa (vedi i proclami del generale Vannacci). Se pensavamo che dalla pandemia si uscisse con più consapevolezza, che i destini degli uomini fossero come percezione più legati tra di essi, e che si facesse strada un nuovo senso civico e di solidarietà, ci sbagliavamo. In realtà le persone sono più incattivite, e c’è semmai un ritorno all’individualismo esasperato e alla difesa dei propri interessi: i propri confini, i propri affari, i propri sentimenti. Di conseguenza c’è meno tolleranza verso il prossimo in generale a tutti i livelli: immigrati, diversi, poveri…
L’esplosione del conflitto in Israele amplifica le preoccupazioni sui nuovi equilibri geopolitici del mondo, con tutte le contraddizioni che ne conseguono, alimentando una vera e propria lotta tra civiltà e modelli di governance, dove non è così scontato che la democrazia prevalga, anche se noi ci auguriamo di sì, e lavoreremo per questo. Lo scenario che si presenta può sembrare apocalittico se non intravedessimo all’orizzonte l’incontro tra i riformisti e il cattolicesimo democratico come forza unificante e trainante verso un nuovo umanesimo che si trasforma in forza esuberante e trainante di una nuova stagione da cogliere e da incarnare sia in ambito sociale che in ambito politico/istituzionale.
Infatti il pensiero di Papa Francesco, che da oltre 10 anni ci illumina con le sue encicliche e con il suo instancabile pensiero verso i poveri e nella promozione della pace e di un mondo più giusto e sostenibile sotto ogni profilo (ambientale, sociale ed economico) è a mio avviso la voce più autorevole, ma anche troppo sottovalutata in questa contemporaneità distratta.
L’esortazione apostolica “laudato deum” sul clima, che prosegue l’impegno della “laudato si’” su questi temi affronta in modo netto che gli uomini di buona volontà non possono più rinviare le politiche che promuovano una nuova sostenibilità a tutti i livelli.
Tuttavia il miglior riformismo rischia anche di essere inghiottito da un radicalismo esasperato a sinistra e anche nel terzismo avanzato, che sul nascere sembrava almeno nei contenuti di una certa valenza, stanno “volando gli stracci”.
Certo che la situazione generale, tra guerra, inflazione, immigrazione, ecc.. se da un lato non aiuta il governo dovrebbe almeno aiutare l’opposizione a ricompattarsi su una strategia condivisa, pur nelle differenti proposte politiche, per sperare di tornare maggioranza.
A mio avviso l’unica strada percorribile è l’incontro tra il riformismo e il cattolicesimo sociale e nei prossimi mesi saremo impegnati in questo percorso iniziando da uno studio di fattibilità concreto sul territorio di Siena e da una potenziale sua evoluzione nei territori limitrofi… e così via.
Il cantiere è aperto per riprendere fiducia e consapevolezza e ridare ai cittadini un vero spazio di partecipazione alla vita pubblica che come associazione Res (Riformismo e Solidarietà) vogliamo mettere a disposizione.