Dopo i quotidiani, la tv. Prosegue la fuga degli italiani dai mezzi di comunicazione tradizionali. Incantati e fagocitati dai social (gratuiti, aggiornati in tempo reale, facilmente fruibili, con una informazione “mordi e fuggi” perfetta per i nostri ritmi frenetici e la “leggerezza” di questi tempi), sono sempre di più i telespettatori che sembrano abbandonare l’ex tubo catodico, ritenuto evidentemente un mezzo di comunicazione vetusto, o semplicemente meno allettante nei contenuti. A farne le spese sono tutti i canali: quelli tradizionali, streaming e anche on-demand. La fascia oraria che soffre di più è quella dei telegiornali. A certificarlo è l’Osservatorio sulle comunicazioni Agcom, che ha analizzato i primi nove mesi del 2023.
IL CALO DEGLI SPETTATORI COLPISCE SOPRATTUTTO I TG DI “MAMMA RAI”
Gli ascolti medi giornalieri in tv, da gennaio a settembre dello scorso anno, mostrano, rispetto al corrispondente periodo del 2022, una flessione del 2,8% nell’intero giorno, da 8,31 a 8,07 milioni di spettatori, e del -2,5% nel “prime time”, da 19,12 a 18,64 milioni di spettatori. Un calo degli ascolti che risulta essere ancora più evidente se confrontato con i primi nove mesi del 2019. Dai dati si evince una crisi dei telegiornali di tutti i canali. A leccarsi le ferite è soprattutto “Mamma Rai”: i Tg della tv di Stato, infatti, hanno perso su base annua il 6,3% degli ascolti giornalieri (-11% per il Tg2 delle 20:30!). I Tg serali di Mediaset, in media, hanno registrato una riduzione del 3,7% (il Tg4 delle 19 ha perso circa il 7,3%), mentre il tg de La7 ha fatto registrare un calo del 4,6%. In forte calo anche gli ascolti di Sky Tg24.
TG, TRA “PANINO” E CRONOMETRO (CON MANUALE CENCELLI)
Una cosa è certa: l’avvento dei social, la loro diffusione anche tra gli over 60, sta determinando una vera rivoluzione nel mondo della comunicazione. I primi a pagarne le conseguenze sono stati i quotidiani, che soffrono anche nelle edizioni digitali. Mentre resiste la radio. Sul calo degli spettatori della televisione ci sono più letture, anche quella che ci vede più inclini a uscire di casa rispetto al passato, soprattutto dopo la drammatica esperienza della pandemia. Ma i più ritengono che sia un problema di contenuti offerti dalla televisione. Nei telegiornali vorremmo trovare più approfondimenti, più inchieste, più analisi, più contenuti inediti. Il cosiddetto “panino” dei servizi di politica, vale a dire lo schema “Governo fa provvedimento-opposizione critica la decisione-maggioranza spiega che la minoranza sbaglia a criticare”, non funziona più. Il “manuale Cencelli” applicato ai servizi dei Tg (tot secondi al Governo, tot secondi all’opposizione) appare davvero una impostazione da Prima Repubblica. Anche perché dai profili social dei partiti, dei singoli politici, degli stessi mass-media (trattasi di masochismo) sappiamo in tempo reale cosa è stato deciso, chi polemizza, perché ci si oppone al provvedimento, perché si contesta chi si oppone al provvedimento e via discorrendo, in una rincorsa infinita.
TG RAI “FAZIOSI E MONOCOLORE”: I TRE CASI DENUNCIATI DAL PD
Ma ad allontanare gli spettatori, soprattutto dai Tg della Rai, potrebbe essere anche lo spazio riservato al Governo e ai partiti di maggioranza, decisamente sbilanciato rispetto a quello concesso alle opposizioni, e soprattutto la qualità dei servizi mandati in onda, contraddistinti da un patriottismo che alla lunga può risultare poco interessante e addirittura fastidioso per i telespettatori, soprattutto per quelli che non si riconoscono nel Governo. A sostegno di questa tesi ci sono ben tre episodi denunciati dal Pd. Il primo ha riguardato un servizio del Tg1 sull’apertura di Atreju, la festa di Azione giovani, i ragazzi di Alleanza nazionale e oggi la festa di Fratelli d’Italia. “Più che un servizio giornalistico – hanno denunciato i componenti Pd della Vigilanza Rai – è sembrato un vero spot per celebrare una manifestazione dei giovani di un partito che non si era mai visto in un tg”. La seconda polemica ha riguardato un servizio di metà gennaio sul corteo di Gioventù Nazionale (movimento di Fratelli d’Italia) al cimitero monumentale del Verano di Roma. Anche in questo caso il Pd ha stigmatizzato l’impostazione del servizio, che ha “elevato il corteo a evento patriottico culturale”, accusando il Tg1 di essere diventato “il megafono per eccellenza di TeleMeloni”. Infine a scatenare altre polemiche, solo qualche giorno fa, è stato titolo del Tg1 (ancora lui!), che ha annunciato una prestazione universale da 1.000 euro per 14 milioni di anziani. In realtà – attaccano dal Pd – la prestazione spetterà solamente a 25mila italiani. Tre indizi fanno una prova. Tra le cause della disaffezione, quindi, possiamo sicuramente annoverare la faziosità dei telegiornali, la loro benevolenza nei confronti di chi governa. È stato sempre così, ahimè. Ma questa volta il colore dei Tg appare molto più marcato del solito. I dati, dunque, decretano l’inizio della fine del primato dei telegiornali, per decenni attesi con ansia soprattutto all’ora di cena nelle case di tutti gli italiani.
CONSIGLIO (NON RICHIESTO) A RENZO ARBORE
I tempi, dunque, sembrano cambiare anche per la modalità con cui gli italiani si informano. Cambiano i gusti, gli strumenti, le sensibilità, il tempo dedicato all’informazione. Come sembrano lontani gli anni in cui Renzo Arbore cantava “Vengo dopo il tiggì“, un brano allegro e scanzonato, molto amato dagli italiani: “Tiggì tiggì, vengo e rimango lì, posto dopo il tiggì. Io non sarò normale, dipendo dal canale, ma a me mi piace assai il telegiornale”. Oggi, con quello che sta accadendo, c’è il rischio che il brano “Vengo dopo il tiggì” si trasformi in un più realistico “Spengo se c’è il tiggì”! Con buona pace di Arbore.
(Foto di Tina Rataj-Berard su Unsplash)