Nel suo articolo del 30 settembre su “Domani” Stefano Feltri dice: “Il Pd poteva essere un grande aggregatore di tutte le energie a sinistra, ma avrebbe dovuto essere democratico davvero, scalabile, capace di tollerare al suo interno punti di vista e priorità diverse”. È una frase condivisibile a condizione che si tolga “a sinistra” e, volendo, la si sostituisca con “riformiste”. Perché è questo l’equivoco che permane nella discussione di tutti e nel vissuto del PD. Tutti invocano la “sinistra”, ma senza avventurarsi nel merito di cosa si intenda.

Cosa vuol dire sinistra nel XXI secolo? Sono di sinistra le giovani che hanno fischiato la Boldrini? O gli ambientalisti? O, come sostengono molti intellettuali, i 5S del reddito di cittadinanza? O quanti, anche nel PD, buttano a mare tutto il job act? Al contrario, sono di destra gli operai o gli artigiani che prima hanno votato Lega e oggi Meloni? E cosa sono i sottoproletari che hanno votato Conte, o i ceti medi che hanno votato Calenda? E cosa sono le liste civiche progressiste che governano molte città, come Napoli? Il problema, dunque, non sta nel nome della rosa, ma nella rosa stessa e in quanto quel nome sta a significare.

A quasi ottant’anni dalla fine del fascismo e dalla istituzione della democrazia; a sessanta dal Concilio che ha dato l’avvio alla fine della egemonia politica della Chiesa cattolica sulla società italiana, compiutasi con la fine della DC trent’anni fa; a più di trenta dalla caduta del muro di Berlino e dalla fine del comunismo e con esso di una visione economica e sociale; a quindici anni dalla crisi del 2008 che ha manifestato clamorosamente il fallimento del liberismo e a ormai dieci anni dalla costatazione che l’elettorato è mobile a colpi di decine di percentuali, dimostrando di aver introiettato tutti i cambiamenti storici in un approccio post ideologico, ce n’è abbastanza per uscire dall’angolo.
Siamo ben oltre gli schemi tradizionali e la domanda di rappresentanza politica dei cittadini, del popolo, è concentrata su valori ed interessi che non trovano più risposte nelle nobili (o meno) storie che hanno segnato la storia.

Si è usato spesso lo slogan: “uscire dal Novecento”. Ma il PD ci è rimasto dentro. Il PD è nato proprio per andare oltre le vecchie storie, non rinnegarle, ma, essendo concluse, superate, inverarle; per reinventare il percorso dei riformisti alla luce dei cambiamenti economici, sociali e di pensiero intervenuti nel mondo contemporaneo. Una nuova identità, nuove politiche, nuova prassi. In questo sta il valore di permettere anche a chi proviene dalle “vecchie storie” di rigenerarsi, riaffidarsi al nuovo mondo è dare alle giovani generazioni uno strumento politico adatto ai tempi.
Invece, si sono conservate troppo spesso vecchie prassi, pratiche politiche segnate ancora dal portato economico socialdemocratico; un’identità condizionata dal proprio vissuto storico. Il fallimento è questo. Ed è evidente che va ben oltre le responsabilità di Letta.

Filippo Andreatta propone un bivio: o lo scioglimento del PD e la costituzione di un partito “di sinistra” (ecco che torna il punto!) o una nuova classe dirigente che escluda dal comando tutti quelli che hanno occupato posti di responsabilità nei vecchi partiti (Margherita e DS). Questo ultimo consiglio non so se basti, ma è esplicativo del tema. Quanto allo scioglimento, la questione è: quella domanda che stava all’origine del PD è tramontata o i problemi anche elettorali del centro sinistra (non della sinistra o del centro, che da soli, come si vede, non esistono…) derivano proprio dal non essere stati capaci di assolvere a quel compito?
L’elettorato di centro destra si è spartito i consensi, i partiti si sono mangiati tra loro, dentro uno schieramento unito; l’elettorato di centro sinistra si è frantumato senza un programma che rappresentasse, per tutti, una visione unitaria di futuro.

Se quella domanda si è esaurita allora il PD non serve; ma se la domanda di uguaglianza e progresso necessita di una risposta capace di tenere insieme problemi contrastanti, ovvero assistenza e promozione, giustizia sociale e sviluppo economico, diritti individuali e doveri collettivi, una volta si sarebbe detto anche “Stato e mercato” e “meriti e bisogni”, allora non importa come si chiami, ma un Partito democratico, riformista, ci vuole e deve essere l’aggregatore, come dice Feltri, di tutte le energie in gioco, oltre la sinistra, il centro, i frantumi di una rappresentanza dispersa.

Essere all’opposizione è politicamente una fregatura, ma aiuta questo processo di ricerca di identità molto più che stare al governo. Approfittiamone. Detto ciò, possiamo anche tranquillamente usare la terminologia “di sinistra”, purché non sia tranquillizzante e sappiamo di che cosa parliamo.

1 commento

  1. Condivido, un partito non dovrebbe acriticamente acquisire le posizioni di ogni minoranza che chiede “diritti” . Esempio l’ aborto diritto esclusivo della singola donna . Ma se il singolo e al disopra di ogni valore sociale è una posizione di destra. Bisogna dire che l’aborto non può essere un contraccettivo e va quindi normati con valori sociali. Chiarire questa e altre posizioni ci apre a un territorio enorme del mondo cattolico.

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