Da anni parliamo di bilancio di genere e della necessità di adottarlo a tutti i livelli di governo nel nostro paese, quale strumento essenziale per promuovere l’uguaglianza tra uomini e donne, attraverso una migliore conoscenza e consapevolezza dell’impatto che le politiche pubbliche hanno e possono avere sulle discriminazioni.

Bilancio di genere e bilancio dello Stato, come misurare le disuguaglianze uomo-donna

Abbiamo avuto in questi anni esperienze di bilanci di genere a livello locale o nell’ambito delle pratiche di perfomance management di alcune amministrazioni pubbliche, ma la prima formale e strutturale sperimentazione a livello centrale è avvenuta sul rendiconto Generale dello Stato del 2017, a opera del governo Gentiloni.

Già sul rendiconto generale del 2016 si era applicata una prima sperimentazione del bilancio di genere, ma la replica su quello del 2017 è stata rafforzata ulteriormente, sia allargandola alla collaborazione di altre amministrazioni centrali dello Stato, che hanno risposto a specifici questionari ad hoc, sia introducendo alcuni indicatori di interesse per la misurazione dei divari di genere nella società, ma soprattutto, nell’intento normativo, finalizzandola esplicitamente alla ridefinizione e riallocazione delle risorse finanziarie in fase di programmazione e di monitoraggio delle stesse.

A tale proposito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze si è istituito un apposito Comitato di indirizzo con la partecipazione di rappresentanze dell’Istat, dell’Inps e degli enti di ricerca e università, prendendo spunto dalle analisi svolte da diverse organizzazioni internazionali e dagli indicatori utilizzati per evidenziare le disparità, primo fra tutti l’Istituto europeo per la parità di genere (Eige).

Pertanto i risultati ottenuti da questa sperimentazione, a cura della Ragioneria Generale dello Stato, e che sono oggetto di una Relazione al Parlamento, corredata di diverse Appendici, una normativa, una statistica e una sulle politiche settoriali e del personale, costituiscono un fondamentale strumento di analisi e di riflessione, di cui si dovrebbe fare tesoro per ulteriori percorsi di conoscenza, di approfondimento e di impostazione delle politiche pubbliche e di allocazione delle risorse.

Il lavoro è stato molto complesso e per ammissione della stessa Ragioneria non può considerarsi esaustivo per comprendere i divari di genere nell’economia e nella società, perché, da una parte, non tutte le politiche comportano oneri diretti per il bilancio dello Stato (vedi i trasferimenti di risorse ad altra amministrazioni o le gestioni cosiddette fuori bilancio o le spese a carico degli enti territoriali) e, dall’altra, alcune politiche, che pure sono dirette a ridurre le disuguaglianze di genere, non trovano esatta ed esplicita corrispondenza nel bilancio dello Stato e nelle sue classificazioni contabili.

Sarebbe stato importante utilizzare i primi risultati per fornire supporto alle scelte della legge di bilancio 2019, che ha invece inseguito logiche del tutto estranee a questo percorso virtuoso che il nostro paese aveva finalmente intrapreso e che avrebbe dato un grande contributo a una maggiore trasparenza sulla destinazione delle risorse, individuando quelle stanziate ed erogate in favore delle pari opportunità di genere e verificando gli impatti degli interventi su uomini e donne in termini di denaro, servizi, tempo e lavoro non retribuito.

I dati della Relazione del Ministero dell’economia

La Relazione presentata al Parlamento offre pertanto una rappresentazione delle spese del bilancio dello Stato riclassificate contabilmente in chiave di genere, secondo le seguenti categorie: spese neutrali, spese destinate a ridurre le disuguaglianze, ovvero direttamente riconducibili a favorire le pari opportunità o diminuire i divari tra i generi e spese sensibili, cioè relative alle misure che hanno un diverso impatto su uomini e donne.

Per circa l’80 per cento delle spese (pari a circa 617,8 miliardi), non sono stati individuati riflessi né diretti né indiretti sulle disuguaglianze di genere, per circa il 19,7 per cento (152,3 miliardi) la spesa è riconosciuta come sensibile rispetto al genere, mentre lo 0,3 per cento (circa 2,1 miliardi) è considerata collegata a interventi destinati a ridurre le diseguaglianze di genere. Rispetto alla riclassificazione in una prospettiva di genere effettuata per l’esercizio 2016, la spesa destinata in tutto o in parte a ridurre le disuguaglianze di genere è aumentata. Tale aumento è in gran parte attribuibile a un esame più dettagliato da parte delle amministrazioni delle proprie spese.

Le spese considerate direttamente destinate alla riduzione dei divari di genere riguardano per oltre il 99 per cento, spese riconducibili alle tre Missioni del bilancio dello Stato relative a: “Diritti sociali, politiche sociali e famiglia”, “L’Italia in Europa e nel mondo”, “Politiche previdenziali”.  Il restante 0,5 per cento è collegato a misure per il personale dipendente delle amministrazioni e, in particolare, a misure di conciliazione vita lavoro, come l’asilo nido aziendale o alla formazione a una cultura di genere. Si tratta di spese di solito collocate nella Missione trasversale a tutti i Ministeri “Servizi istituzionali e generali delle amministrazioni pubbliche”.

La spesa del bilancio dello Stato finalizzata a ridurre i divari di genere è principalmente costituita da trasferimenti correnti ad amministrazioni pubbliche, quali principalmente gli enti di previdenza, l’Agenzia italiana per la coesione e lo sviluppo, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e gli enti locali. Le amministrazioni che gestiscono la parte preponderante delle risorse classificate in questa categoria sono il Ministero del Lavoro, il Ministero dell’Economia e il Ministero degli Affari Esteri.

Le spese sensibili al genere riguardano principalmente le Missioni: “Politiche previdenziali” (per il 60 per cento), “Diritti sociali, politiche sociali e famiglia” (20 per cento); “Politiche per il lavoro” (7 per cento); “Competitività e sviluppo delle imprese” (6 per cento).  Accanto a queste, vi sono spese relative ai contributi statali alla ex gestione INPDAP (10,8 miliardi circa), e, in misura inferiore, altri interventi assistenziali a favore del personale. Sempre tra le spese sensibili vi sono quindi i trasferimenti correnti a famiglie e istituzioni sociali private (circa 11,7 miliardi, pari all’8 per cento) e altre categorie di spesa che nel complesso rappresentano circa 2,6 milioni di euro (il 2 per cento delle spese sensibili al genere). Per la Missione “Politiche previdenziali” sono considerati sensibili al genere gli oneri per trattamenti pensionistici e assistenziali che sono destinati direttamente a individui e possono, pertanto, avere un impatto differenziato su uomini e donne. In particolare, il Programma “Previdenza obbligatoria e complementare, assicurazioni sociali” del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (più di 79,7 miliardi di impegni e circa 74,6 miliardi di pagamenti sensibili al genere) riguarda, principalmente, il sostegno statale alle gestioni previdenziali e le agevolazioni contributive, sotto contribuzioni ed esoneri, riservati principalmente alle assunzioni a tempo indeterminato e all’occupazione nei territori svantaggiati. Nello stesso programma sono considerate sensibili al genere anche le risorse per gli anticipi pensionistici destinati ad alcune categorie di lavoratrici e lavoratori, tra cui l’“opzione donna”. Quest’ultima misura pur essendo destinata unicamente alle donne, non è stata considerata come diretta a ridurre le disuguaglianze di genere e necessiterebbe di uno specifico approfondimento.

Questa riclassificazione operata presenta ancora delle criticità, come affermato dalla stessa Ragioneria dello Stato, ed è necessaria una maggiore standardizzazione per evitare interpretazioni difformi tra le amministrazioni titolari delle spese,  perché c’è una oggettiva difficoltà a distinguere tra spese neutrali e quelle sensibili al genere (per esempio non tutte le spese destinate alle donne riducono le disuguaglianze di genere e viceversa le spese per misure di conciliazione sono destinate a tutti, e dunque rischiano di essere classificate tra quelle neutrali).

Gli indicatori del Bilancio di genere in Italia

La sperimentazione introduce, inoltre, prendendo spunto ovviamente dagli studi internazionali, una serie di indicatori statistici per monitorare le azioni intraprese per incidere sulle disuguaglianze di genere e la loro associazione alla struttura del bilancio, nonché svolge un’analisi dell’impatto sul genere delle principali misure di politica tributaria.

Gli indicatori sono articolati secondo alcuni ambiti di intervento delle politiche pubbliche, mettendo in evidenza le principali caratteristiche e i comportamenti di uomini e donne e il loro andamento negli ultimi anni: il mercato del lavoro, la conciliazione tra vita professionale e familiare, la tutela del lavoro, previdenze e assistenza, l’istruzione e gli interventi contro gli stereotipi di genere, la partecipazione ai processi decisionali, politici, economici, amministrativi, il contrasto alla violenza di genere, la salute, lo stile di vita e la sicurezza.

I dati esaminati negli ultimi 10 anni ripropongono un divario di genere in tutti i campi dell’economia e della società a sfavore delle donne: nel mercato del lavoro le donne sono penalizzate non solo in termini di occupazioni ma anche di retribuzioni salariali, con ancora maggiore incidenza se vivono o lavorano al Sud; ancora pochi uomini beneficiano dei congedi parentali, sebbene con un leggero aumento negli ultimi anni; sono sempre di meno il numero di bambini presi in carico dagli asili nido o dai servizi integrativi per l’infanzia; le donne, in tutte le fasce di età, soprattutto se anziane o single con figli, sono a maggior rischio di povertà degli uomini; l’importo lordo medio annuale dei redditi pensionistici delle donne italiane è di circa 7 mila euro inferiore di quello degli uomini nella fascia d’età tra 60 e 79 anni e la quota di donne che percepiscono meno di mille euro al mese è più del doppio di quella degli uomini.

Per quanto riguarda l’istruzione e la formazione accanto al dato già conosciuto che riguarda la minore presenza di studentesse nelle discipline STEM, e lo svantaggio delle donne nelle competenze finanziarie, a differenza di altri paesi, risalta, nella Relazione al parlamento, un dato interessante che si riferisce all’abbandono precoce dagli studi e dalla formazione come fenomeno prevalentemente maschile, ancora una volta accentuato al Sud.

La partecipazione delle donne ai processi decisionali, politici e amministrativi ha sicuramente subito un picco in Italia grazie alla legge Golfo-Mosca, sebbene ancora poche donne rivestono la carica di amministratore delegato e anche la partecipazione politica a tutti i livelli di governo dal centrale al locale è sicuramente aumentata, grazie, anche in questo caso agli interventi normativi in materia.

Sul tema della sicurezza e della salute, cito solo un dato esemplificativo che riguarda la maggiore adesione delle donne ai programmi di screeening avviati dalle singole regioni.

Un accenno meritano i dati relativi al contrasto alla violenza di genere che confermano, come è già noto, che la maggior parte degli omicidi di donne si consumano in famiglia o comunque all’interno di relazioni di coppia, che le più colpite sono le straniere, le disabili, le separate e le divorziate e le inoccupate, insieme alle giovani, dunque le categorie tra le donne, più deboli, e che cresce l’a consapevolezza femminile sul fenomeno, come dimostra l’aumento delle denunce.

Tralascio per ovvi motivi di tempo di analizzare altri aspetti che questa sperimentazione ha riguardato, ovvero  i divari esistenti nell’ambito del personale delle amministrazioni centrali dello Stato e della Presidenza del Consiglio dei Ministri; la normativa specifica introdotta per il 2017 per promuovere le pari opportunità di genere o agire su alcune diseguaglianze note; le questioni inerenti l’impatto del prelievo fiscale sul genere e delle principali politiche tributarie; la sintesi delle risultanze delle attività censite tramite questionari compilati dalle amministrazioni.

Ciascuna appendice di questa Relazione merita una riflessione accurata e credo che questo prezioso lavoro, intrapreso per la prima volta a livello di bilancio statale, non debba essere tralasciato o considerato un esercizio di stile, ma spero sia valorizzato e approfondito negli aspetti che ancora lo meritano, per diventare uno strumento ordinario di lettura e di programmazione delle spese pubbliche, a tutti i livelli di governo.

Perché come afferma Janet Stotsky, docente americana ed esperta del fondo monetario internazionale, il bilancio di genere, se fatto come si deve, consente la migliore pianificazione delle spese in assoluto ed è dunque un vantaggio per tutto il sistema economico-finanziario.

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