Poco più di due mesi fa, quando l’OMS dichiarò che quella legata al COVID-19 era una vera e propria pandemia e il concetto di lockdown era ancora qualcosa di incomprensibile prima di viverlo sulla propria pelle, fummo guidati tutti da un pensiero comune: saremmo tornati a Vivere (con la V maiuscola) con ancora più voglia ed entusiasmo di prima, certi di aver imparato ad apprezzare molti aspetti della nostra vita fino ad ora dati per scontati. E in un certo senso così è stato: da pochi giorni siamo tornati a quella normalità che però tanto uguale a prima non è, e che probabilmente ancora per un po’ non sarà. Ma non si tratta solo di una questione di regole che, per forza di cose, dobbiamo rispettare. No, non è questo. Sono stati quasi tre mesi che hanno cambiato in maniera radicale la nostra quotidianità e le nostre esistenze, alimentando pensieri ed emozioni che (ed è questa la novità alla quale non eravamo preparati) non sono svaniti con una conferenza stampa del Presidente del Consiglio o con un Decreto, tantomeno in virtù della riapertura del bar in cui tutte le mattine prendevamo il caffè prima di entrare al lavoro.

Sono stati diversi, infatti, gli esperti (psichiatri e psicologi) che in queste ultime settimane ci hanno confermato che se abbiamo sentito un certa inquietudine, un po’ di smarrimento, una latente diffidenza nel ritorno alla vita alla quale eravamo abituati, molto probabilmente non è così strano.

E’ stata chiamata (in termini fin troppo giornalistici) “ansia da fine quarantena”. E che ci fosse da aspettarselo lo ha confermato anche Emi Bondi, primario di Psichiatria dell’Ospedale Papa Giovanni di Bergamo:  “È un fenomeno che si registra dopo i grandi traumi collettivi: ricordo molto bene quando si verificò con l’onda lunga della crisi economica del 2008, la perdita del lavoro portò a un aumento di patologie psichiatriche anche minori, disturbo dell’umore, depressione, ansia. Ed è quello che sta succedendo anche nella fase due di quest’emergenza”. E paradossalmente, chi soffre di disturbi psichiatrici sembra aver retto durante il primo periodo, quello più buio, dell’epidemia da coronavirus, per poi accusare il colpo in seconda battuta.

Post quarantena e disturbi da stress post traumatico

Ma qual è il punto? Di per sé, infatti, non è stata la clausura la situazione più complicata alla quale ci siamo dovuti abituare. Come spiega lo psicoterapeuta Andrea Cirelli, “dopo un po’ ci siamo adattati a stare in casa, esattamente come succede nelle prigioni, con tutti i conflitti e i problemi delle convivenze forzate e le angosce di solitudini. Il problema adesso sarà tornare in un ambiente sociale nuovo, dove ci si incontra con gli altri, ma con situazioni e regole sociali che spaventano”. C’è poi un’altra questione interessante – prosegue il professore -, spiegata dalla la metafora del guerriero: “il guerriero in battaglia riceve continue ferite ma l’adrenalina e la lotta lo fanno andare avanti e tenere duro. Il problema può esserci, adesso, perché quel guerriero non è più sotto adrenalina e il peso delle ferite si fa sentire. In termini clinici tutto questo prende il nome di disturbo da stress post-traumatico, a cui (certo, non tutti) dovremmo stare attenti”. Senso di impotenza, una possibile ansia di riuscire a conquistare i nostri obiettivi, potrebbero essere le sensazioni dominanti.

Ancora più esplicitamente: il Coronavirus è entrato nelle nostre vite all’improvviso, prepotentemente, e ci ha costretto a modificare radicalmente i nostri stili di vita e a riorganizzarne la quotidianità. Siamo stati chiamati ad affrontare la sfida dell’isolamento, che ha comportato anche l’emergere di emozioni contrastanti, talvolta difficili da gestire, come l’ansia, la paura e l’incertezza. Per fronteggiare questo ‘evento traumatico’ abbiamo risposto con resilienza. “Adesso ci troviamo di fronte a una nuova sfida – spiegano la Dott.ssa Anna Guerrini Usubini e il Dott. Roberto Cattivelli, psicologi clinici dell’Istituto Auxologico Italiano – connessa a quella affrontata sino a qui: si tratta della sfida della ripartenza, che non significa tornare al mondo così come lo abbiamo lasciato prima della diffusione della pandemia, ma imparare a convivere con il virus, attraverso una lenta e graduale ripresa delle principali attività lavorative e sociali, senza mai dimenticare le precauzioni sin qui adottate.

Si tratta di trovare una rinnovata capacità di adattamento, non più all’isolamento ma alla convivenza con il virus, che richiede la capacità di essere flessibili.  La fase della riapertura può rappresentare il palcoscenico di nuove emozioni, come l’euforia per la ripresa, la paura del nemico ancora presente, l’ansia per la prospettiva di un allenamento delle restrizioni quando per alcuni è ancora troppo presto e la frustrazione per ciò che ancora non possiamo fare”.

Cosa fare dunque? “Impariamo ad accogliere tutte queste emozioni – proseguono i due psicologi – ricordandoci che sono del tutto normali e fanno parte dell’esperienza di molti, non sono solo nella nostra testa. Riconosciamole come presenti, ma non come qualcosa di cui sbarazzarsi. Teniamole lì, né troppo vicine a noi rischiando così di venirne travolti, né troppo lontane, rischiando di negarle. Per molti, la fase dell’isolamento ha costituito una opportunità unica di riscoperta di passioni interessi, hobby da tempo dimenticati, prima che la pandemia si appropriasse della nostra routine. Non perdiamo ciò che di buono abbiamo riscoperto per noi, per i nostri cari, anche quando riprenderemo le attività lavorative e ludico-ricreative e la nostra vita tornerà ad essere piena come un tempo”.

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