Il mio intervento all’incontro con Carlo Calenda “Siamo Europei. Il destino dell’Europa è il destino dell’Italia” organizzato da ReS, Koiné, l’Italia che verrà e Europei in Italia

Ringrazio Carlo Calenda di aver accettato il nostro invito e di essere qui con noi a parlare di Europa. Basta indugi e prudenze. Dobbiamo impegnarci tutti, davvero e tutti insieme, perché l’Europa – l’Europa dei popoli, della solidarietà, della uguaglianza, della fiducia in un futuro di pace e dignità – torni a rivivere tra la gente; torni a presentare il suo volto migliore, migliore di quello di oggi.

Molti pensano che non sia possibile, che si tratti di una battaglia persa in partenza. Perché l’Europa stessa non sarebbe più all’altezza di questo compito; schiacciata dal suo stesso peso, invadente con la sua burocrazia, immobilizzata dal suo eccessivo allargamento.

Non è così. La sua crisi, innegabile e seria, non dipende dall’eccesso di Europa, ma dalla scarsità di Europa. Dal fatto che il processo di unificazione e di integrazione, nato sulle ceneri della tragedia bellica e sviluppatosi con ardore, fino a diventare realtà, si è frantumato di fronte agli egoismi localistici, perdendo le due grandi occasioni che la storia ha offerto. In primis, quando, dopo la caduta del muro, tutta l’Europa avrebbe dovuto fare proprio il grandioso processo di unificazione che ha interessato la sola Germania; o, secondariamente, quando con l’introduzione dell’Euro fu del tutto evidente che a esso doveva seguire un’unità politica. E chi è stato responsabile di queste mancate scelte? Di questi errori? La troppa Europa o il troppo nazionalismo?


Ma, soprattutto, si dice, l’Europa non è più una prospettiva, perché è il popolo che non la vuole. Non è così. Non lo è, innanzitutto, per il nostro Paese. Non neghiamo il consenso di cui godono le forze nazionaliste e sovraniste, oggi al governo. Nonostante la confusione in atto, anche nell’applicazione dei punti chiave del loro programma (pensioni e reddito); nonostante le clamorose divisioni tra loro e… in loro; nonostante la maleducazione e le volgarità quotidiane; nonostante, soprattutto, l’irresponsabile gestione della non accoglienza di persone deboli e sfruttate, il consenso di cui godono è reale.

Eppure, quando si parla di Europa le cose cambiano. La critica all’Europa, anche quando è aspra, irrazionale, diffusa, tenace, non arriva, per la maggior parte degli italiani, a contemplare l’uscita dall’euro e, nella recente vicenda, che ha visto il nostro governo retrocedere nel negoziato con la Commissione europea sui saldi di bilancio, una buona parte dei cittadini riteneva necessaria un’intesa con questa Europa.

Questo non risolve la serietà della crisi dell’Europa e non dà per scontato niente per quanto riguarda il voto alle elezioni di maggio; ma, ci consente di affermare che la prospettiva europea, pur minata dagli errori e i limiti clamorosi dell’Europa stessa su molti dei temi aperti, resta per il nostro Paese un orizzonte turbolento, ma irrinunciabile.

Ecco perché spetta a noi, a tutti noi che vogliamo un Europa migliore, ma la vogliono, far sì che questa campagna elettorale sia l’occasione per lanciare una strategia di riforma dell’Unione per migliorarla e consolidarla. Sosteniamo, perciò, la necessità di un salto di qualità e affermiamo, senza timore, che la vera meta sono gli Starti uniti d’Europa e, per questo, vediamo la necessità e l’urgenza di eleggere direttamente col voto un governo europeo, che sia espressione diretta del Parlamento eletto dai cittadini europei.

Ma possiamo giocare sul serio questa partita se, a cominciare da noi, usciamo dagli stanchi riti elettorali, dalle divisioni su questo o quel punto specifico, quando la posta in gioco è così drammatica.

Noi sosteniamo l’idea di un campo largo che si unisca in una prospettiva progettuale ed elettorale allo scopo di raccogliere tutti coloro che credono nell’Europa e si battono per il suo miglioramento.

La proposta del manifesto Siamo Europei convince per questo. Come convince l’idea di Prodi e aderiamo, perciò, alla giornata di esposizione della bandiera dell’Europa. E hanno fatto bene i principali candidati alla segreteria del Pd a rispondere positivamente all’appello. Ha fatto bene Gentiloni a sostenere, anch’egli, la idea di una larga coalizione. Così come sono importanti i pronunciamenti di molti politici e amministratori.

Uniamo le forze e diamoci questa prospettiva. Non spetta a noi indicare ora e qui le formule e le modalità con cui si fa questo salto di qualità. A noi, in questo momento, spetta il dovere di alzare, educatamente, ma fermamente, la voce per richiamare tutti a questa responsabilità.

Non stiamo costruendo un partito, non stiamo organizzando un fronte… stiamo semplicemente mobilitandoci per riunire quanto è disperso; risvegliare quanto è assopito, incoraggiare quanto è intimorito.  Cioè la tanta gente che, delusa, si è allontanata dalla politica (a cominciare dal voto!) e a quella, ancor più numerosa, che non condivide le politiche (e gli atteggiamenti) che ci vengono proposti, ogni giorno, dal centro destra al governo, ma che non trova risposta alla diffusa domanda di partecipazione civica.

Ecco, dunque, ciò che le forze politiche, in particolare del centrosinistra devono comprendere: che l’apertura di uno spazio più ampio di aggregazione e di azione politica, oltre le singole bandiere o simboli, non riduce, anzi esalta, il ruolo dei singoli partiti, delle singole formazioni.

Unire, nella prospettiva di una nuova Europa, un mondo diviso, dunque. Tutti insieme, ma non confusamente. Senza ammucchiate.

Ma, dove sta il confine? A mio avviso è ragionevole pensare che il rifiuto di alleanze con le forze sovraniste e demagogiche sia una condizione discriminante per partecipare alla lista comune o alla coalizione.

E, devo dire, mi fermerei lì, lasciando il resto alla discussione di merito, sui contenuti, sulla piattaforma che costituirà il programma condiviso di questa avventura.

Il lavoro dignitoso e un welfare minimo per tutti, la lotta alle disuguaglianze e alla povertà, alla disoccupazione e all’emarginazione sociale; l’accoglienza nella sicurezza e l’equità fiscale non siano motivo di divisione tra i progressisti e i riformisti, più o meno moderati.

Ebbene mettiamo in campo questa sensibilità, facciamo in modo che si rappresenti un linguaggio comune. E, magari, ciò avvenisse con una piattaforma elettorale comune sovranazionale.

In questo frangente storico, così segnato dal predominio delle culture nazionaliste, ciò che appare urgente e indispensabile è rilanciare valori di riferimento che scuotano le coscienze. Dopo dieci anni di crisi economica, che ha svilito i valori di fondo della solidarietà e dell’uguaglianza, bisogna far ripartire un movimento che li riscatti e li renda nuovamente trainanti di un futuro per le nuove generazioni. Forse, nemmeno l’Europa da sola può bastare, ma senza Europa, o con una Europa debole e compromessa, questo futuro non ci sarà.

Credits: Ph. Maurizio Ricciardi

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