Orrore infinito, disumano, inaccettabile e ingiustificabile sempre e comunque. La strage di bambini nel kibbutz di Kfar Aza non è un atto di guerra ma di barbarie medioevale, i responsabili non sono combattenti per la causa palestinese ma esseri disumani che hanno riportato indietro le lancette della storia facendoci ripiombare nell’orrore antiebraico dei pogrom e delle stragi naziste o quelle, più recenti, perpetrate da Daesh (lo stato islamico) in Siria o dagli invasori russi a Bucha in Ucraina. Può l’umanità prevalere su questo abisso? Forse la risposta è nelle parole di Yitzhak Rabin: “… dobbiamo combattere il terrorismo come se non ci fossero strade per la pace, mentre lavoriamo per la pace come se non ci fosse il terrorismo”.
La drammatica crisi innescata da Hamas in Palestina e in Israele, induce una serie di considerazioni che non possono prescindere dalla complessa ed annosa situazione del Medio Oriente e, soprattutto, non possono mettere la sordina alle sofferenze, ai soprusi, alle ingiustizie e alle vessazioni che subisce la popolazione palestinese e al continuo stato di tensione in cui vivono gli israeliani. Questa situazione ha prodotto, negli anni, un continuo succedersi di periodi di calma (apparente) e di esplicito conflitto armato che si è manifestato sotto varie forme. Da parte palestinese con le varie Intifada, gli attentati terroristici anche contro i civili israeliani, il lancio di razzi sulle città e i villaggi di confine, la presa di ostaggi, ecc… Da parte israeliana con l’occupazione militare del territorio palestinese, gli abbattimenti brutali di abitazioni, l’espansione illegittima di insediamenti ebraici sui territori palestinesi, i bombardamenti di infrastrutture militari e civili, le uccisioni mirate di leaders palestinesi e lo strangolamento della già povera economia palestinese.
La “Pace di Camp David” che si basava sul principio sancito dalle Nazioni Unite, terra in cambio della pace, e i successivi accordi di Oslo che avevano tentato di fare un passo in avanti affermando il principio dei “due popoli, due stati”, sono stati costantemente disattesi da Israele che, anche a seguito di manifestazioni di protesta da parte palestinese, ha continuato con la pratica dell’occupazione e con l’espansione degli insediamenti ebraici nei territori assegnati ai palestinesi. Gli accordi di cui sopra sono certamente stati necessari ed hanno segnato alcuni punti fermi soprattutto per la comunità internazionale, ma era evidente l’asimmetria tra le due parti, frutto della vittoria israeliana sui paesi arabi nella “guerra dei 6 giorni” e in quella dello Yom Kippur che da un lato ha alimentato il mito di una sorta di invincibilità di Israele e del suo esercito (Tsahal) e delle sue strutture di intelligence ( Mossad, Shin Bet, ecc…) e dall’altro ha fatto capire ai palestinesi che dovevano cavarsela da soli perché non potevano contare sulla effettiva determinazione dei paesi arabi nel sostenerli e nella loro solidarietà “pelosa”.
Questi accordi quindi, lungi dal realizzare effettivi percorsi di pacificazione, come pure declamavano, hanno prodotto grandi frustrazioni delle aspirazioni palestinesi ed altrettanto continue attività israeliane di non rispetto degli stessi. Lo stesso principio del reciproco riconoscimento è stato continuamente negato. Le Nazioni Unite, le grandi potenze mondiali, l’Europa che avevano propiziato questi accordi, hanno colpevolmente pensato di aver fatto la propria parte e non si sono preoccupati di cosa, concretamente, succedeva sul terreno, di come quegli accordi venivano applicati, o meglio disapplicati. In questa situazione anche le rappresentanze delle due parti in campo si sono vieppiù radicalizzate ed oggi è la destra nazionalista e ultra ortodossa a gestire il potere in Israele mentre Hamas è diventata la formazione politico militare con più consensi non solo nella striscia di Gaza ma in tutta la Palestina, avendo l’Autorità Nazionale Palestinese perso la propria credibilità sia istituzionale che morale.
Hamas ha voluto dare una una dimostrazione brutale di forza mostrando agli israeliani (e al mondo) di essere capace di infliggere ai cittadini israeliani atrocità persino peggiori di quelle che Israele dispensa ai palestinesi. Ma anche se siamo tutti rimasti sorpresi dalla débâcle delle forze di sicurezza israeliane non si può non dire che la “legge del taglione” finisce sempre per andare a vantaggio del più forte e cioè di Israele. Sarà la popolazione di Gaza a pagare il prezzo più alto dell’azione terroristica di Hamas! Non si può che constatare che Hamas subordina l’interesse della popolazione palestinese ai suoi obiettivi politici e a quelli del suo principale dante causa, il regime iraniano. Sono evidenti i molteplici obiettivi che Hamas si propone di raggiungere con questa efferata iniziativa. Uno lo ha già raggiunto, portare il terrore nelle case degli israeliani. Ma ce ne sono altri politicamente ben più ambiziosi: riusciranno a fermare il percorso dei cosiddetti Accordi di Abramo tra Israele e i diversi paesi arabi (sunniti)? Riusciranno a destabilizzare definitivamente l’ANP prendendo il sopravvento anche in Cisgiordania? Riusciranno a coinvolgere nel conflitto anche Hezbollah dal sud del Libano? Riusciranno a mantenere il controllo di Gaza oggi insidiato da movimenti ancora più estremisti legati alla Jihad islamica?
I palestinesi non hanno bisogno di tutto questo, hanno invece necessità di ottenere il sostegno pieno della comunità internazionale sulla legittima aspirazione ad essere cittadini di un loro Stato; hanno bisogno di far partire un percorso di sviluppo economico che solo l’intesa e la pacificazione con Israele può assicurare, hanno diritto ad avere infrastrutture civili e sanitarie dignitose. La risposta a questi interrogativi arriverà nel futuro prossimo e molto dipenderà anche dagli insegnamenti che Israele saprà trarre da questa crisi. Ma molto dipenderà anche dalla capacità degli attori internazionali di avviare iniziative capaci di dare risposte concrete alle giuste aspirazioni palestinesi di avere un loro Stato, così come alla sacrosanta esigenza israeliana di avere confini sicuri.
La politica della destra israeliana, che il governo Nethanyau sta portando avanti, ha dimostrato di essere fallimentare e senza prospettiva. Politiche discriminatorie e razziste contro i palestinesi, violazioni dei territori attraverso il continuo abbattimento delle abitazioni palestinesi e l’insediamento di coloni ebraici, strangolamento dell’economia palestinese, distruzione di infrastrutture civili e sanitarie, hanno soltanto fatto crescere l’odio, sopratutto tra i giovani palestinesi,facendo invece accrescere il consenso verso Hamas.
La destra israeliana ha fallito anche nella politica interna portando il Paese in una drammatica situazione di rottura della società israeliana che non si era mai vista prima. Ha prodotto persino una contrapposizione con una parte delle forze armate, fedeli ai principi democratici che stanno alla base dello Stato di Israele. Ha compiuto scelte militari tatticamente sbagliate decidendo di spostare truppe ingenti, dai confini di Gaza per portarle a proteggere la prepotente politica di insediamenti illegittimi in Cisgiordania; tutti gli analisti concordano che questa scelta è stata determinante per il successo dell’attacco di Hamas.
Ora, ricordando che a Gaza non vivono solo terroristi ma anche 2 milioni di cittadini inermi, dobbiamo augurarci che, passata la fase dell’indignazione e dello sgomento, la politica israeliana sappia riprendere la strada di Oslo, la strada di Rabin e di Peres, la strada che porta al riconoscimento di due stati per due popoli. Analogo percorso devono fare i palestinesi, riprendendo in mano il loro destino e rifiutando gli appoggi interessati di chi ha come obiettivo principale la cancellazione dello Stato di Israele. Bisognerebbe riuscire a ritessere una società civile palestinese, attenta ai bisogni della popolazione e capace di riconoscere, nella via della pace, l’unica strada possibile per dare un futuro alla gioventù palestinese.
Anche la comunità internazionale deve riaccendere la sua attenzione sul Medio Oriente. Gli Accordi di Abramo, frutto della volontà statunitense di disimpegnarsi dal teatro mediorientale per concentrarsi in quello indo pacifico, stanno dimostrando di non essere idonei a consentire una prospettiva di pace nell’area. Ancora una volta bisogna riaffermare che non ci può essere una pace credibile e duratura senza il coinvolgimento dei palestinesi e senza una risposta alle loro legittime aspettative, peraltro sancite da numerose dichiarazioni dell’ONU.
Questo è il campo su cui dovrebbe esercitarsi il ruolo dell’Europa. Questa nostra Europa sempre più preoccupata delle sue beghe interne e sempre meno rilevante sulle grandi scelte globali, ma su cui non smettiamo dì sperare. Così come ci stiamo battendo per il rispetto delle regole e del diritto internazionale di fronte all’aggressione russa dell’Ucraina, altrettanto siamo chiamati a fare nella situazione mediorientale.
Condivido la tua analisi e relative preoccupazioni.Serve una politica europea forte che oggi non esiste.
Ampia e articolata analisi di una situazione quanto mai complessa. Tante domande, ma dall’ Europa ancora nessun contributo.