Di fronte alla vigorosa ripresa di sovranismi e nazionalismi, la scomparsa di Jacques Delors ci appare come un segno doloroso di un cambio d’epoca. Forse premonitore di un faticoso destino per il vecchio continente. Ma, forse, anche un avvertimento, un monito ad alzare il capo per chi ritiene la via europea la sola strada praticabile per un futuro dei nostri popoli.

Una idea di Europa unita, autorevole, solidale, pacifica, giusta, ha caratterizzato la vita e l’impegno politico di Delors. Dopo i padri fondatori (Adenauer, Monnet, Schumann, Spinelli, De Gasperi) Delors è apparso come un rifondatore. Ha saputo, cioè, attualizzare il sogno iniziale, offrendo nuove prospettive. Intuì, nella preoccupazione e scetticismo delle principali cancellerie, la potenzialità straordinaria della unificazione tedesca; ma fu lui a convincere la Germania (insieme a Romano Prodi) a rinunciare al “marco” per realizzare l’Euro. Favorì l’integrazione europea con i trattati di Maastricht e Schengen e durante la sua Presidenza della Commissione entrarono Spagna, Portogallo, Austria, Finlandia e Svezia.

Ma l’apice teorico e istituzionale fu raggiunto dal libro bianco, con il quale da un lato si afferma la prevalenza del mercato unico sulle politiche economiche nazionali, attraverso nuove logiche sulla concorrenza che pretende una maturità delle imprese nel mercato (non dimentichiamo mai che il mercato europeo è il più grande del mondo!).  Dall’altro, però, è il modello sociale europeo che viene confermato come il perno della coesione sociale. “L’Europa deve avere un’anima”, sostenne Delors. La sua anima è sociale. Pur con tutti i limiti e le contraddizioni, ciò che distingue l’economia europea da altre è proprio questa concezione della persona: soggetto protagonista nell’economia sociale di mercato. Un percorso non facile, ma perseguito con tenacia non solo politica, ma anche di ispirazione personale dal cattolico Delors.

La sua testimonianza è così pregnante che fa pendere la bilancia, almeno la nostra, decisamente più per la speranza che per la depressione sul futuro dell’Europa. I prossimi mesi saranno di grande importanza a tal fine, essendo quelli nei quali si preparano le elezioni europee; e le elezioni si vincono e si perdono non certo il giorno del voto, ma, contrariamente al luogo comune, con un lungo, inesorabile e irrinunciabile impegno quotidiano. A questo ci ha abituato Jacques Dolors.

Con la singolare coincidenza che a volte ci offre il destino, nelle stesse ore è morto anche Wolfang Schäuble, il “potente” ministro dell’Economia della Germania riunita, che, quando fu ministro dell’Interno ha duramente pagato con l’invalidità, la sua dedizione alla causa della unità della Germania. Invalidità che non gli ha però impedito di essere costantemente in campo.

Rispetto a Delors, Schäuble ha rappresentato un altro volto dell’Europa: rigoroso e severo. Al punto da mettere nel conto un’Europa a due velocità, con l’uscita della Grecia, quando scoppiò la famosa crisi e fu fermato da Draghi. Si intestò l’interpretazione più rigida dei trattati europei, sostenendo, di fatto, una gestione commissariale del debito di buona parte dei paesi in difficoltà. Una idea eccessiva e insostenibile, alternativa ad un’ottica comunitaria e solidale. Ma, attenzione, pur sempre un’idea di Europa. Faticosa e in molti casi non condivisibile, anche se i temi da lui posti necessitano comunque di risposte. Lo vediamo in questi giorni quando la questione del debito è tornata in agenda col nuovo patto di stabilità. Ben altre sono le minacce al futuro europeo che il rigorismo sul debito per il quale ha combattuto con tenacia Schäuble. E stanno nella rinuncia all’idea di Europa che si sta diffondendo con troppa leggerezza.

Insomma, pur nelle loro differenze e, mi sia permesso, nella diversa statura politica, entrambi hanno sostenuto la tesi che senza Europa non c’è futuro. L’Inghilterra è un grande paese, con risorse e tradizione importanti; ma i dati ormai ci dicono in maniera inconfutabile che la Brexit non è stato un buon affare…

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