In questi giorni stiamo assistendo atterriti e sgomenti alla reazione di Israele dopo l’orrenda azione di Hamas del 7 ottobre scorso. Così come ci siamo indignati di fronte alle vittime, alla violenza, alla barbarie di Hamas, siamo altrettanto indignati di fronte alle migliaia di vittime civili innocenti che l’esercito israeliano sta procurando nella Striscia di Gaza: bambini, donne, anziani, malati, giornalisti e da ultimo, e non per importanza in questo drammatico elenco, anche alcuni degli ostaggi presi da Hamas e dalla Jiahd islamica durante quel barbaro attacco.

I media ogni giorno cercano di documentare le devastazioni del già fragile territorio di Gaza, le stragi di civili, la sorte degli ostaggi e le conseguenze politiche e geopolitiche di questa improvvisa e crudele crisi. Negli ultimi giorni, soprattutto nei talk show, veniamo interrogati da una domanda che autorevoli commentatori (come Paolo Mieli) e politici (come Emanuele Fiano) stanno ponendo a tutti noi, e soprattutto a chi, come me, ritiene la reazione israeliana sproporzionata e inaccettabile perché non si possono considerare i civili palestinesi come inevitabili vittime collaterali del legittimo e fermo contrasto ad Hamas. La domanda che ci viene posta è: cosa dovrebbe fare Israele? Come dovrebbe esercitare il suo diritto all’autodifesa?

A mio avviso la risposta che sta dando il governo Netanyahu non solo è sproporzionata e viola tutte le regole umanitarie sancite dalla Carta delle Nazioni Unite, ma finisce per minare la stessa natura democratica dello stesso Stato di Israele. Questa reazione sta alimentando tra i palestinesi e nell’opinione pubblica internazionale la propaganda di Hamas e il suo volersi accreditare come difensore delle ragioni dei palestinesi mentre, in effetti, li utilizza come scudi umani sacrificabili. Il terrorismo non è mai stato sconfitto dalla rabbia e dalla vendetta! Il terrorismo si sconfigge prosciugando le sue fonti di consenso (come abbiamo imparato noi italiani) e ristabilendo la legittimità delle regole internazionali; il terrorismo non si sconfigge con le sue stesse armi ma con quelle della fermezza democratica e della legalità.

Penso che all’assalto di Hamas, Israele (e la comunità internazionale) dovrebbe rispondere con una iniziativa politica forte e coraggiosa che solo una democrazia può fare, una proposta capace di togliere consenso popolare ad Hamas e di rilanciare un dialogo serio e coerente con il pieno coinvolgimento dei palestinesi. Per rendere credibile questo percorso, bisogna sparigliare il tavolo, depotenziando il ruolo che oggi esercita Hamas e rafforzando quello dell’Autorità Nazionale Palestinese. L’ANP deve riacquistare credibilità e leadership sia tra i palestinesi di Gaza che tra quelli della Cisgiordania e, per farlo, ha bisogno di una nuova dirigenza.

Israele, azzardo una proposta, potrebbe offrire la liberazione di Marwan Barghouti e dei palestinesi imprigionati solo per le azioni di protesta, in cambio della liberazione di tutti gli ostaggi di Hamas. Sono convinto che se Hamas rifiutasse uno scambio del genere, si alienerebbe gran parte del consenso che oggi gode tra i palestinesi. Barghouti, imprigionato perché ritenuto il mandante di alcuni atti di terrorismo, è un leader che gode di grande popolarità tra la sua gente e potrebbe essere l’uomo del dialogo nella prospettiva dei “due popoli, due stati”. È uno dei leader di Fatah e dell’ANP, non è un fanatico religioso, non è mai stato un fiancheggiatore di Hamas, si è conquistato tanta credibilità anche come uomo del dialogo che crede che la pace sia possibile attraverso il riconoscimento reciproco e il rispetto dell’integrità territoriale dei due stati.Questa è ciò che ritengo dovrebbe fare Israele. Il suo governo, se vuole veramente garantire un futuro di pace e sicurezza ai cittadini israeliani, se vuole riaffermare la natura di stato democratico, se vuole risolvere la questione della sicurezza dei confini così come sono stati definiti dalle Nazioni Unite, deve assumersi la responsabilità di avanzare una risposta di questo genere, consapevole che quegli obiettivi non si ottengono con la vendetta! Capisco che sto proponendo a Israele quasi un gesto unilaterale di pace ma ne ha fatti tanti di guerra e, come ancora ieri ci ha ricordato Papa Francesco, la guerra non è mai la soluzione.

2 Commenti

  1. La tua proposta è ragionevole anche se i risultati attesi potrebbero non realizzarsi. Il quadro della situazione è compromesso al massimo dalla guerra in atto, della quale sarebbe comunque utile depotenziare la portata distruttiva. Le due parti purtroppo sono sprofondate in un abisso dal quale è molto difficile risalire. Ragionando per il futuro, a me sembra che il corso politico che Israele dovrà imperativamente avviare dovrà tenersi a questo principio: una democrazia vive bene se si rispecchia in altre democrazie, per cui dovrà dedicare molta cura alla contaminazione democratica del suo “conterraneo” palestinese. Blindarsi con la forza e con l’arbitrio come ha fatto finora è ingiusto e letale. I palestinesi, a loro volta, sono obbligati ad emanciparsi dall’arretratezza culturale e dal fanatismo religioso per vivere un futuro di sicurezza e dignità.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here