Si dice che i successi sportivi producano un effetto più generale; trascinino. Ed è così, visto che uno degli effetti imprevisti della vittoria olimpica di Jacobs e della ampia composizione multietnica della nostra squadra è la rivalutazione dello “ius soli”… sportivo (ma non solo!). Così come è stata una Olimpiade di svolta per la trasparenza con la quale sono stati affermati i diritti politici, in troppi casi ancora disattesi e la… normalità che ha contraddistinto l’affermazione e il riconoscimento delle scelte lgbt di molti atleti.
Per l’Italia ci sono stati anche i clamorosi successi sportivi. I 100 metri da soli, per il loro significato simbolico e la rilevanza globale, valgono una Olimpiade, ma i 10 ori e il record complessivo di 40 medaglie definiscono un profilo nuovo e giovane dello sport italiano (anche se non sono mancate le delusioni in alcune discipline storicamente da medaglia). Sullo sfondo, ovviamente, i recenti Europei di calcio.
La lettura degli ottimi risultati ottenuti è unanime: ci vogliono duro lavoro, sacrifici, determinazione, entusiasmo; ma soprattutto squadra, tanto lavoro di squadra. Anche nelle vittorie individuali conta il clima della squadra (se è vero che Jacobs si è sentito “gasato” dalla vittoria e dall’incitamento di Tamberi e Paltrinieri da entrambi…), del lungo lavoro preparatorio e, nel momento della gara, del Paese che collettivamente sostiene (non pretende) l’impresa.
È un buon momento, dunque, per l’Italia sportiva.
C’è la possibilità che l’atteggiamento e i comportamenti sportivi, così unanimemente celebrati, si trasferiscano all’impresa Italia? È possibile far sì che il Paese resti contagiato e operi con lo stesso spirito nelle istituzioni, nella politica, nella economia, nella istruzione, nella cultura, nella tutela delle persone, della salute e dell’ambiente? Cogliendo il momento favorevole il Presidente del Coni, Malagò, ha posto il tema.
Non è facile. L’elenco dei difetti, delle magagne e dei ritardi è ogni giorno oggetto di analisi, molto spesso corrette, troppe volte eccessivamente pessimistiche. È giusto che ciò avvenga. La democrazia e la trasparenza lo esigono.
Eppure, alcune condizioni oggettive utili a emulare quanto è avvenuto nello sport ci sono. Un governo autorevole sul piano internazionale e senza alternative credibili; l’economia in ripresa e il Pil in crescita; la straordinaria disponibilità di risorse del PNRR da impiegare in un programma di investimenti tesi a innovare, a partire dalle indispensabili transizioni digitale ed ecologica; la Presidenza del G20 e le tante altre, meno note, affermazioni del nostro Paese, tra cui la sostanziale risposta positiva, largamente maggioritaria, della popolazione alla esigenza di vaccinarsi e all’uso del green pass.
È, dunque, un buon momento per l’Italia in generale. Non sciupiamolo.
Gli appuntamenti che ci attendono metteranno alla prova questo spirito: le riforme (giustizia, fisco, pensioni, mercato del lavoro, amministrazione pubblica); gli investimenti (scuola, sanità, innovazione, digitalizzazione, ambiente…); la protezione sociale (non autosufficienza, povertà…).
Per riuscirci bisogna, innanzi tutto, mettersi tutti a disposizione; per sconfiggere o, almeno, prevalere sui punti deboli che ci impediscono di emulare lo “spirito” sportivo e consentirgli di diventare la molla del genio italico. Ne individuo tre: diseducazione, disimpegno, corporativismo. È, dunque, necessario lavorare esplicitamente sul contrario: educazione civica e formazione, responsabilità individuale e collettiva, bene comune e solidarietà.
A questa ardua impresa corale si devono dedicare prima di tutti coloro che esercitano responsabilità pubbliche: la politica, le forze economiche e sociali, gli educatori, gli intellettuali, i media. Un richiamo che il presidente Mattarella non si stanca di ripeterci. Ma ora serve uno scatto.
A cominciare dalla politica e dai partiti. Il governo Draghi, al di là delle tattiche parlamentari, nasce dalle difficoltà delle forze politiche di darsi una visione e una prospettiva di governo, accentuata dallo scarto misurabile tra la rappresentanza parlamentare e il consenso reale nel paese. La emergenza ha prodotto una maggioranza troppo eterogenea, tenuta insieme più dalla preoccupazione che dalla convinzione. Eppure, proprio il riconoscimento di questa condizione deve consigliare ai partiti di evitare derive politiche al buio e assecondare il percorso di rilancio, resilienza e riforme che il governo sta portando avanti, ricostruendo in ciò la propria credibilità che sarà messa alla prova tra non molto (con la elezione, tra pochi mesi, del Presidente della Repubblica e, al massimo, tra meno di due anni, con le elezioni politiche).
In fin dei conti la gestione della emergenza pandemica, pur con i limiti inevitabili, ha complessivamente ristabilito un rapporto tra istituzioni e popolo che sembrava compromesso.
Nella dura esperienza del Covid le imprese e i sindacati hanno saputo tenere una linea di responsabilità che, pur nelle differenti posizioni, ha consentito al sistema economico di attraversare il deserto di una crisi drammatica, attenuandone i potenziali effetti catastrofici sia per la produzione che per il lavoro. Dunque, una buona pratica di dialogo e confronto preventivo, che il governo deve perseguire con tenacia, consentirà di far fronte ai problemi ed evitare di scivolare nella tentazione di comportamenti corporativi. L’esperienza ci dice che quando ciò è accaduto, in momenti più difficili di ora (come nel 1984, nel 1991, nel 2011) la sfida è stata vinta.
Ma serve anche uno scatto del mondo intellettuale e degli educatori. L’Italia possiede risorse straordinarie sul piano morale, culturale e scientifico. Nel periodo del Covid gli “esperti” (e i politici, a partire da alcuni “governatori”) hanno consumato troppe parole e troppe previsioni contraddittorie, minando tra la gente una credibilità che in generale è riposta in “chi ne sa di più”. Serve un recupero che può avvenire se gli educatori e gli intellettuali si spendono per animare nel popolo lo spirito positivo della volontà di riuscire. La campagna pro vaccino, che espone attori, sportivi, personalità varie è un buon esempio. Educare è il presupposto per condividere.
E nella società della conoscenza, informare è educare. In tal senso il ruolo dei media è decisivo. Il potere educativo (o diseducativo) dell’informazione è straordinario. Ma la concorrenza porta a giocare troppo sulla notizia gridata, sulla contrapposizione a prescindere. La velocità con la quale interpretiamo lo scorrere del tempo moderno brucia la notizia e l’ansia di una comunicazione sempre nuova ne avvilisce spesso la qualità. Eppure, proprio la comunicazione sportiva di queste Olimpiadi (e degli Europei prima) favorita certo dai buoni risultati, ha prodotto un messaggio positivo di Paese, di orgoglio, che, pur nelle incursioni retoriche, non è scivolato nello sciovinismo. Anche nella società liquida e nelle dinamiche travolgenti della contemporaneità si può fare buona informazione al servizio del bene comune.
C’è un modo di dire che afferma che gli italiani danno il meglio di sé nelle difficoltà. Ma la difficoltà principale è superare se stessi. Esattamente quello che avviene nello sport.
Sottoscrivo a piene mani.
Aggiungo…cosa proporre ancora.
Importiamo Campioni non dobbiamo esportare ricercatori e Scienziati.
So di essere Banale ma il nostri imprenditori vanno sollecitati a investire di più nella Ricerca.poi anche nel Calcio…….
D’accordo, ricordando sempre que ogni modifica o cambiamento è sempre un fatto culturale. Si deve lavorare cogliendo dall’esperienza passata ma con visione ampia dell’innovazione in tutti i campi.