La riflessione sulle cause della crisi politica che stiamo vivendo, avviata su queste pagine da Pier Paolo Baretta, è quanto mai corretta e puntuale almeno per quanto attiene alle cause interne al nostro Paese e alle sue forze politiche.
Tuttavia, senza uno sguardo alle tensioni internazionali, in cui anche il nostro Paese è immerso, da sole, a mio avviso, non basterebbero a spiegare l’improvvisa accelerazione che è stata impressa alla crisi stessa.
L’Italia di Draghi è, senza alcun dubbio, diventata uno dei protagonisti internazionali di questa drammatica fase delle relazioni internazionali, segnate dalle intenzioni di chi (Russia e Cina in primis) vorrebbe ridisegnare la geopolitica mondiale.
Con Draghi (e Mattarella) il nostro Paese si è trasformato da “ anello debole” della UE e della NATO, nello Stato più determinato nel portare a compimento il processo di integrazione europea e, contemporaneamente, più convinto nel rafforzamento della NATO quale alleanza militare atta a contrastare i propositi espansionistici non solo territoriali ed economici, ma anche istituzionali e culturali delle potenze orientali.
Solo chi non vuol vedere può non essersi accorto dei diversi tentativi, avvenuti negli ultimi anni, di destabilizzare i paesi democratici. Dallo spionaggio della campagna elettorale di Hillary Clinton nelle elezioni presidenziali che portarono alla vittoria di Trump, alle interferenze di hackers russi nella Brexit, nelle elezioni francesi e tedesche, fino ai molteplici tentativi di indebolire la UE, di fomentarne le divisioni anche supportando le formazioni politiche di destra (come la Lega di Salvini) o governi ostili a qualsiasi forma di avanzamento dell’integrazione europea (come l’Ungheria di Orban). Hanno messo in pratica quella che è stata definita la “dottrina Gerasimov”, dal nome del capo delle forze armate russe che ha teorizzato la “guerra ibrida”.
Così mentre la Russia si dava da fare in Europa e Medio Oriente anche con politiche brutali ( vedi Siria), la Cina giocava questo ruolo espansionistico con metodi apparentemente più soft (le Vie della Seta), ma non meno destabilizzanti. L’occupazione economica che la Cina ha determinato in Africa e in alcune aree dell’Oriente non ha soltanto l’obiettivo di creare nuovi sbocchi alla enorme produzione di beni cinesi, ma anche di soffocare quelle giovani ed instabili democrazie africane che stavano cercando di costruire un rapporto non neocolonialista con i paesi occidentali. Tuttavia l’area strategicamente importante per la Cina rimane l’Indo-Pacifico dove intende esercitare la sua supremazia, mentre l’Europa viene vista come un grande mercato di sbocco (il più grande del mondo) e come un importante “magazzino” di tecnologie (magari da trafugare).
Lo sguardo corto della nostra politica, sempre alle prese con l’elezione successiva, ci ha portato ad essere disattenti e tiepidi rispetto a questi cambiamenti globali e la fragilità della nostra economia causata dall’enorme debito pubblico, ma soprattutto dalla nostra dipendenza nell’approvvigionamento di materie prime (petrolio e gas in primo luogo ma anche metalli e terre rare, grano e cereali), ha prodotto un posizionamento internazionale che, pur interno al sistema occidentale, strizzava più di un occhio alla Russia in particolare. In questo andazzo, per la verità, non eravamo soli ma ampiamente accompagnati da politiche analoghe della Germania.
L’attacco militare della Russia all’Ucraina, preceduto da quelli altrettanto brutali in Cecenia, Georgia e Crimea, nonché dagli interventi in Siria e in Libia attraverso i suoi mercenari della brigata Wagner, ha giocoforza fatto cadere il velo di ipocrisia delle nostre relazioni internazionali.
È in questo frangente che il governo Draghi ha dimostrato una capacità di reazione e di visione strategica che ha letteralmente sorpreso Putin e gli stessi alleati occidentali, rafforzando il suo ruolo di Paese fortemente impegnato nell’Unione Europea, attraverso concrete proposte di maggiore integrazione delle politiche economiche, sociali, fiscali e militari tra i Paesi membri e divenendone protagonista anche grazie alla credibilità internazionale di Mario Draghi e alla sua capacito di costruire un “nocciolo duro” europeo con Francia, Germania e Spagna.
Alla guerra contro l’Ucraina abbiamo risposto, insieme agli altri Paesi democratici, con il ricorso a sanzioni economiche sempre più pesanti, con l’invio di armamenti alle forze di difesa ucraine, ma soprattutto abbiamo messo in campo azioni concrete per sottrarci al ricatto energetico russo.
L’Italia ha, con grande tempestività, avviato la diversificazione geografica della sue fonti di approvvigionamento energetico realizzando accordi di fornitura con l’Algeria, l’Angola, il Mozambico, l’Azerbaijan, l’Egitto, Israele. Anche la stabilizzazione dei nostri rapporti con la Turchia è parte di questo quadro.
Questa strategia è stata spinta a tal punto da consentire al nostro Paese di proporsi come il nuovo hub energetico per l’Europa, alternativo alle forniture russe (reverse flow), con ciò mettendo in forte discussione una delle principali carte di Putin nello scacchiere internazionale. All’interno di questa nostra collocazione, dobbiamo tuttavia essere consapevoli che gli interessi europei non sempre sono convergenti con quelli statunitensi. Gli USA, pur nelle visione multilaterale dell’amministrazione Biden, non hanno perso il vizio di proporsi come “gendarme” unilaterale del mondo, utilizzando la forza militare e quella del dollaro come principale moneta internazionale negli scambi, per gestire in maniera protezionistica la loro economia.
La reazione russa alle iniziative italiane, è stata ed è sotto i nostri occhi: totale chiusura delle forniture energetiche, attività di destabilizzazione del nostro Paese per il tramite di soggetti politici ed economici compiacenti e compromessi, blocco delle forniture di grano e cereali ai paesi africani, utilizzo dei flussi di migranti dalla Libia per dare fiato alle paure della gente e a quelle forze politiche che le alimentano (i numeri reali, ad oggi, non giustificano allarmismi di sorta) e che sono state più che tiepide rispetto alle scelte del governo Draghi sopra descritte.
È del tutto evidente che l’affermazione elettorale di forze politiche distanti o comunque “tiepide” rispetto alle scelte di politica internazionale fatte da Draghi (e da Mattarella), preoccupi alquanto le cancellerie europee, il governo statunitense e i governi di altri paesi democratici nel mondo. La guerra ibrida in corso non consente all’Occidente di “perdere” un paese importante come l’Italia.
Tutto ciò significa che la nostra sovranità, la sovranità degli elettori italiani nello scegliere il loro governo, è limitata?
No, non penso questo. Penso che sia necessaria una maggiore consapevolezza, anche degli elettori italiani alla stessa stregua di quanto hanno avuto gli elettori statunitensi, quelli francesi, ecc…, che i nostri Paesi, le economie, le società, le culture di ciascuno di essi sono talmente intrecciati da essere totalmente interdipendenti.
L’esito delle elezioni italiane, e delle conseguenze politiche che ne deriveranno, è direttamente influente sul benessere, sul livello di vita dei cittadini europei in particolare ma anche americani, australiani o giapponesi, così come è determinante per la crescita sostenibile dei paesi africani e per la stabilizzazione del Medio Oriente.
Le nostre elezioni non sono più soltanto “affari nostri” e le forze politiche hanno l’obbligo, il dovere, di dire con estrema chiarezza qual è la loro collocazione nello scenario internazionale, fare di questa scelte una delle questioni fondamentali dei loro programmi elettorali e comportarsi coerentemente.
Credo che il centrosinistra italiano abbia ampiamente dimostrato il suo sostegno alla politica internazionale di Draghi, mentre la destra nostrana continuava a flirtare con Putin, con Orban e con tutto il resto della compagnia antieuropea. Facciamo in modo che anche gli italiani siano consapevoli di ciò.

1 commento

  1. Salvatore l’analisi è perfetta ma ritengo che lo scenario sia un po preoccupante, non vedo i nostri politici attenti a queste riflessioni nei loro programmi elettorali, forse non portano voti, o è difficile spiegarlo agli elettori 0 forse non sono in grado di capire immaginare i nuovi scenari nazionali e internazionali, certo sono difficili da immaginare ma questo vale per il cittadino medio I politici dovrebbero essere un ponpiù avanti o no. Riusciremo a farlo capire agli elettori che gli scenari stanno mutando e che dobbiamo tifare un po più per il nostro paese piuttosto che per il nostro amico politico? Non mi sento un portatore di acqua alle elezioni, ma sono convinto che ce ne siano molti cerchiamo di aprire le loro menti, compito arduo ma proviamoci.

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