L’intervento di Natale Di Cola, segretario della Funzione Pubblica Cgil di Roma e Lazio, per spiegare perché una grande manifestazione di piazza per il lavoro e contro le politiche economiche del Governo 

Il 9 febbraio Cgil, Cisl e Uil scendono in piazza contro le attuali politiche del Governo. Ecco i perché di una grande giornata di protesta che chiamerà a raccolta l’intero mondo del lavoro, e non solo.

Nella legge di stabilità e nelle misure varate fino a oggi, mancano risposte strutturali e di sistema per lo sviluppo del Paese e per il futuro del lavoro. Le pensioni e i redditi da lavoro dipendente sono i più penalizzati; temi come le politiche sociali, fiscali e previdenziali, la tutela delle fasce deboli e il Mezzogiorno, restano ancora aperti e non affrontati in modo organico. Cgil, Cisl e Uil hanno avanzato proposte credibili su cui, però, non c’è stato confronto.

Il futuro è pubblico, il ruolo della Pa nel sistema Paese

Per la Pubblica Amministrazione mancano risorse per il rinnovo dei contratti, poche le assunzioni previste e investimenti ridotti. Un errore di prospettiva, sotto tanti aspetti: la Pa è la cerniera tra cittadini, imprese e servizi, ed è la leva principale per la creazione di lavoro, per la crescita economica e lo sviluppo.


Non si mettono abbastanza risorse per sostenere e investire nella Pa, da un piano straordinario di assunzioni al rinnovo dei contratti, che sono stati sbloccati dopo 9 anni solamente un anno fa, non si pensa all’innovazione. I vari interventi su cui il Governo investe, se messi in relazione l’uno con l’altro, complessivamente producono effetti dimezzati o addirittura paradossali. Basti guardare alle ricadute sociali e occupazionali, per migranti e cittadini, che i Comuni si troveranno a gestire dopo la restrizione del perimetro dell’accoglienza, voluto dal decreto sicurezza.

Quota 100 e Reddito di cittadinanza, il cortocircuito per la Pa

Le due misure centrali della manovra, quota 100 e reddito di cittadinanza avranno un impatto negativo sul lavoro, sia se lette singolarmente che tra loro combinate. L’ulteriore opzione di uscita con quota 100 di per sé privilegia carriere continue, quindi una grande quota dei possibili pensionamenti verrà dagli uffici pubblici – e i primi numeri sulle domande già inviate all’Inps lo confermano – impoverendo ulteriormente dotazioni già al collasso. Una misura che non guarda a una revisione complessiva del sistema previdenziale, non supera i vincoli della Fornero, non risolve i tanti temi aperti su donne, precoci e può creare – come tutte le misure spot – discriminazioni tra lavoratori e lavoratori, fuori o dentro per differenze minime di età e contributi.


In generale, nessun provvedimento può dare effettive risposte ai cittadini se non si guarda a chi materialmente li deve erogare. Senza lavoratori non c’è servizio: nel Lazio, dove si concentra una gran parte di lavoro pubblico e gli effetti sono amplificati, la categoria Cgil dei pubblici ha avviato una grande campagna di denuncia, posto per posto, sull’emergenza occupazione e sui prossimi pensionamenti che rischiano quasi ovunque di dimezzare l’effetto dei nuovi ingressi previsti. Pur tornando ad assumere, non si arriva a recuperare quanto perso in 15-20 anni di tagli lineari e blocchi al turn over. Di media il 40% del personale, in tutti i settori, supera i 55 anni. Ogni servizio al cittadino, dagli uffici alle corsie d’ospedale, già adesso è in sofferenza. Sui servizi al lavoro, la realtà del Lazio è simile a gran parte delle regioni del sud Italia (e il taglio alle risorse per il Mezzogiorno è uno dei temi principali delle nostre rivendicazioni), e non solo nelle grandi città: ad Aprilia l’unico centro impiego ha due dipendenti per un territorio che arriva a circa 80 mila abitanti.

Il primo aspetto critico del potenziamento dei Centri per l’impiego, per quanto in sé un passo avanti, è che i nuovi lavoratori non arriveranno in tempo per l’erogazione del reddito di cittadinanza. Una parte di loro – i cosiddetti “navigator” – saranno nuovi contratti a tempo determinato, e le nuove assunzioni (di cui 1000 dovrebbero arrivare al Lazio) non arriveranno in tempi brevi.

L’Inps ha una situazione simile: non c’è  personale a sufficienza e spesso nemmeno strumentazioni adeguate per sostenere il flusso di richieste, ora maggiore per lo smaltimento delle domande di pensione.

Non si può pensare di affrontare seriamente il tema della legalità e della sicurezza sul lavoro se non si potenziano le strutture che si occupano di vigilare, controllare e formare: all’Inail si tagliano le risorse per strumentazioni e formazione, per allargare le fila degli ispettori del lavoro non bastano i primi concorsi previsti.

In sanità non basta portare i conti in ordine e tornare ad assumere, come a fatica si è riusciti nel Lazio dallo scorso anno, dopo anni di “lacrime e sangue”, se si continua a depotenziare il finanziamento al sistema sanitario nazionale. Sono paradossi risolvibili solo con un grande patto sociale e tra istituzioni,  perché si mettano insieme misure e risorse verso un’unica direzione, a tutti i livelli.

Da un riordino delle istituzioni alla filiera delle competenze, alla collaborazione necessaria tra stato centrale, regioni e istituzioni locali, serve un grande patto sociale che si fondi sulla solidarietà e sul riequilibrio delle disparità, garantisca ovunque i livelli essenziali dei sevizi legati a diritti fondamentali e universali di tutti i cittadini, in primis istruzione, salute, sicurezza. E che vada a ridurre e non ad ampliare i divari già esistenti, tra uomini e donne, tra Nord e Sud, dia opportunità ai più giovani e ne tuteli il futuro.

Il lavoro (pubblico) è il futuro

Se per il futuro del paese la parola da mettere al centro è il lavoro, aggiungiamo che il futuro è pubblico: in un paese in cui il cosiddetto “ascensore sociale” è fermo, pubblico è garanzia di servizi universali e pubblica deve essere la regia complessiva degli interventi, per recuperare sul terreno delle disparità, dell’assenza di sicurezza e di servizi, dagli asili nido alla rete per la non autosufficienza, della riduzione del divario sociale e di opportunità tra fasce della popolazione e tra territori.

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