Apprendo con dolore della scomparsa di Guglielmo Epifani. Tante battaglie insieme per l’emancipazione del lavoro, per la giustizia sociale, per un sindacato protagonista. Un percorso continuato poi nelle aule parlamentari e nella società. Sempre attento al dialogo e al confronto; sempre gentile e raffinato, abbiamo costruito negli anni un rapporto sincero di stima e di condivisione delle giuste cause. Anche quando le nostre scelte politiche non coincisero, si confermò tra noi una fraternità di intenti, perché dialogare con lui era sempre motivo di approfondimento e riconoscimento delle reciproche ragioni. Un affettuoso abbraccio alla moglie e ai familiari”. Lo ha scritto Pier Paolo Baretta, presidente di Res, sul suo profilo Facebook.

Sul numero 11 della rivista RES (ottobre 2013) abbiamo pubblicato un’intervista ad Epifani, allora segretario del Pd, dal titolo “Il Pd che verrà…”. Pensieri e riflessioni ancora attuali, che vi proponiamo di seguito.

Gentile segretario, nel nord Europa i progressisti perdono colpi, come avvenuto recentemente in Norvegia, con la vittoria della destra alle elezioni. E questo nonostante abbiano assicurato benessere e crescita. Come mai? Semplice voglia di cambiamento o gli effetti di una crisi che non è solo economica, ma di valori? Bisogna ripensare integralmente la socialdemocrazia europea? Come coniugare solidarietà e mercato?
A una crisi senza precedenti per profondità e per durata i governi conservatori che in questi anni hanno governato la gran parte dei paesi europei hanno dato una risposta di chiusura, regressiva, composta sostanzialmente da due linee di fondo. La prima consiste nella ricerca di soluzioni che vedano ognuno far da solo, trovare da solo la via di uscita dalla crisi. La seconda sta nella previsione di interventi di sostegno, ma legati solo ed essenzialmente alla capacità dimostrata dai singoli paesi di trovare da soli la via di uscita dalla crisi. Anche a costo di dover pagare prezzi molto più alti di quanto sarebbe stato necessario se avesse prevalso semplicemente lo spirito di solidarietà e di comunità. Da qui, le ricette
durissime di una austerità senza progetto di sviluppo, l’ideologia basata su
una teoria secondo la quale basta fare i compiti a casa sui conti pubblici per
rilanciare la crescita. Un esempio per tutti, quello della Grecia. In un contesto culturale e politico di questa natura tutta la società ha subito una regressione. Ciascuno ha difeso il proprio particolare pensando di cavarsela lasciando che la crisi colpisse gli altri, i vicini, i più deboli, i più poveri. I paesi ricchi del Nord contro quelli più deboli del Mediterraneo. I più abbienti verso i più deboli. E tutta la società si è avvitata, in una rincorsa alla chiusura. Per questo i partiti democratici, le forze socialiste hanno perso terreno. Ora è necessario rilanciare la battaglia progressista, perché è giusto, ma anche perché è più razionale, è la via più giusta per uscire dalla crisi: solo una ripresa che coinvolga tutti può innescare una ripresa dei consumi e una ripresa della fiducia capaci di rimettere in moto anche gli investimenti. Vale per l’Italia, ma vale anche per tutta l’Europa. Dopo le elezioni tedesche e in vista delle elezioni europee questa deve essere la nostra piattaforma politica: al rigore sui conti va affiancata una politica di robusto sostegno dello sviluppo. Le proposte da realizzare per arrivare a questo scopo sono note: dal fondo per ammortizzare il debito europeo in eccesso agli eurobond, ai project bond.

Stati Uniti d’Europa: non crede che ci vorrebbe più coraggio? Tra pochi mesi si vota, che idea di Europa propone il PD e che ne pensa della elezione diretta del Presidente della Commissione e del Parlamento con liste sovranazionali?
Il Partito Democratico ha lavorato a lungo ed ha anche ottenuto risultati
positivi nel rilanciare l’alleanza dei progressisti. Ora siamo stati tra i primi a sostenere la canditura unitaria, di tutti i progressisti europei, di Martin Schulz, come presidente dell’Ue. E’ un passo in avanti formidabile. E’ il segno che si comincia a camminare verso una diverso tipo di unione. Fino ad oggi hanno prevalso i criteri economici e monetari. Con le elezioni europee del 2014 è necessario che riparta il processo di unificazione politica. L’Europa ha bisogno di maggiore unità, di avere una voce sola in politica estera, di avere un esercito continentale, di avere un governo federale capace di lanciare una linea di politica economica che sostenga lo sviluppo, oltre che il rigore dei conti. Gli ultimi dati sull’occupazione in Europa forniti dal Fondo monetario internazionale indicano che questo processo è improcrastinabile, a meno di non voler mettere a rischio la coesione sociale e politica raggiunta. L’Europa della civiltà e della cultura, l’Europa della solidarietà e della comunità deve riprendere il cammino, oggi occupato solo dall’Europa dei banchieri e dei tecnocrati.

In Italia cresce l’astensionismo e in generale attecchisce l’antipolitica o si diffonde una forma “anarchica” del rapporto cittadini istituzioni, come quella rappresentata dal Movimento 5 Stelle. Come riavvicinare
i cittadini, in particolare i giovani?
Il problema dell’astensionismo è molto grande. E’ una tendenza che non può e non deve essere sottostimata. E’ il prodotto più pericoloso della crisi e della difficoltà a dare risposte provocata dallo stallo politico. Non rifaccio tutta la storia degli ultimi mesi. Per brevità mi limito a ricordare che alle elezioni politiche il particolare e perverso meccanismo del porcellum ha impedito che la vittoria alla Camera fosse anche una vittoria al Senato. Ci siamo trovati nella singolare situazione di non poter formare un governo a maggioranza chiara e definita, dato che vi sono tre forze che più o meno di equivalgono. Ricevuta una chiara e netta risposta negativa da uno dei tre poli, cioè dal Movimento 5 Stelle, sulla possibilità di formare un governo per il cambiamento, la responsabilità verso l’Italia ha indotto il Partito Democratico ad accettare l’idea di fare un governo insieme al centrodestra. Naturalmente è difficile da spiegare e da accettare. Ma credo che gli italiani abbiano capito la nostra scelta. Ora, se vogliamo riavvicinare e rispondere ai cittadini il governo deve realizzare ciò che è stato chiamato a fare: dare alcune risposte alla crisi economiche e sfruttare questo tempo determinato per fare le riforme istituzionali necessarie a sbloccare l’Italia, a cominciare da una riforma elettorale che consenta di superare il porcellum, di far scegliere i parlamentari ai cittadini e di consentire la formazione di maggioranze di governo certe e chiare.

Nel 2009 i tesserati al Pd erano 800mila, a fine anno rischiano di essere meno di 500mila. È l’effetto delle divisioni interne che hanno stancato i simpatizzanti o c’è qualcosa di più profondo? La crisi della rappresentanza, la forma partito, o addirittura la fine dei partiti?
In questi anni abbiamo visto in Italia che cosa hanno prodotto formule politiche e organizzazioni basate essenzialmente sul populismo e tutte incentrate sulla figura del leader. Senza partiti che abbiano una base, che consentano a iscritti, elettori e simpatizzanti di dire la loro, che presentino meccanismi di selezione democratici dei gruppi dirigenti, non esiste democrazia. Non c’è una crisi dei partiti. C’è una società e una democrazia bloccate dall’affastellarsi di regole barocche, dalla predominanza di interessi costituiti. L’esistenza di forze politiche democratiche è al contrario l’antidoto per la crisi della democrazia. Il problema nasce dalla possibilità di decidere e di applicare davvero nella realtà le decisioni prese, dalle barriere burocratiche, non dalle forze politiche.

Il congresso è alle porte. Quale sarà il Pd che verrà? Quali debolezze e
potenzialità vede nel suo partito?
Il Partito Democratico è oggi l’unica forza politica di stampo europeo del Paese. Siamo una risorse indispensabile per il rilancio dell’Italia. E dobbiamo essere all’altezza di questa responsabilità. In questi giorni ha preso il via la fase congressuale vera e propria. Tutti abbiamo la responsabilità di fare del congresso l’occasione in cui il partito parli del proprio progetto per la rinascita del paese, e affronti anche il tema dell’idea e della forma del nostro partito. Io credo che serva un partito con una identità forte, figlia di valori forti. Dobbiamo recuperare l’idea della visione, del progetto. Va necessariamente riportato il dibattito intorno al futuro. E credo che come PD abbiamo bisogno non di mostrarci soltanto, ma di essere più uniti, perché nei prossimi passaggi abbiamo bisogno di avere più convinzione nella nostra possibilità, nella nostra forza e anche nella nostra unità. Il Congresso sarà anche l’occasione per decidere in modo chiaro che vogliamo essere un partito, non importa se leggero o pesante, ma un partito: con regole democratiche di partecipazione, di decisione, con modalità democratiche di selezione dei gruppi dirigenti.

Larghe intese inevitabili e riformismo necessario. Il governo Letta ce la può fare?
Il governo Letta sa di poter contare sul Pd, seriamente e lealmente. Deve
trarre forza da questo consenso e noi traiamo forza da lui. Ma il tempo delle
risposte deve venire presto. I problemi non aspettano.

La rielezione di Napolitano è stata provocata dagli errori tragici del Pd, ma ha ridato una guida autorevole al Paese. Si può comunque trarre il bilancio di un settennato importante. Quale ritiene sia il messaggio più importante che ci lascia il Presidente Napolitano?
Intanto ribadisco il sostegno mio e di tutto il partito al ruolo difficile e delicato che Giorgio Napolitano sta svolgendo in questa fase della vita del Paese. E lo voglio fare perché dobbiamo avere coscienza di come non sia facile la sua posizione tanto più di fronte a quegli attacchi volgari, violenti e immotivati che nelle giorni si sono registrati contro la sua funzione, la sua figura ed il suo ruolo. Io credo che il messaggio più grande che ci dà ogni giorno è quello di essere un insostituibile punto di riferimento e di difesa dei valori costituzionali del nostro Paese.

Che messaggio intende mandare a quella grande fetta di Italia in difficoltà, composta da disoccupati, precari, pensionati, indigenti, imprenditori in crisi?
Credo e mi impegnerò sempre per una politica in grado di rilanciare gli investimenti non solo nel lungo periodo ma anche a breve. Se noi vogliamo evitare quella curva piatta che si avverte per il 2014/15 e anche nel 2016 noi abbiamo bisogno di rilanciare gli investimenti a breve e da questo punto di vista resto convinto che dobbiamo riaprire la possibilità per gli enti locali di utilizzare il loro patto di stabilità interna in maniera più intelligente. Non c’è nulla più di questo in grado di riattivare un po’ di domanda un po’ di nuova occupazione, un po’ di nuovi investimenti in tempi brevi di altre soluzioni. Dobbiamo sì poi lavorare per avere meno fisco soprattutto sui redditi da lavoro, e da pensione e sulle imprese che innovano e che investono. Questa è la questione che abbiamo di fronte a noi, perché questa è la vera differenza, che il nostro sistema tributario oltre la più ampia area di evasione rispetto agli altri paesi europei, abbiamo nel confronto europeo. Quello che ci fa diversi non è la tassazione sulle case, ma che da noi si pagano troppe tasse sul lavoro e sui redditi di impresa, soprattutto di impresa che innova e investa. Lì è il cuore della nostra differenza e lì è la questione che noi dobbiamo sapere affrontare anche perché dopo il passaggio della moneta unica, aver scelto, perché questa è stata la scelta che soprattutto il centrodestra alla fine ha fatto, di aumentare la tassazione sul lavoro e sugli investimenti delle imprese ha finito come conseguenza per penalizzare la nostra capacità di competere con i mercati soprattutto europei, dove oggi, a differenza dei mercati extra Ue, il nostro paese incontra i suoi problemi più gravi. Così come dobbiamo per forza dedicare più risorse e strumenti più adatti al tema della coesione sociale. Questa crisi non ci lascia nel modo come eravamo al suo inizio. In questa crisi si sono consumate tante nuove ineguaglianze e un’aera di povertà è cresciuta. Non autosufficienza, povertà, esclusione debbono essere i titoli di un impegno del patto di stabilità che provi a rimettere al centro questioni
che fino ad oggi sono state trascurate. Se uniamo l’assenza di risorse nel bilancio statale su questi temi alla riduzione delle risorse verso gli enti locali si avrà con mano la distanza abissale che c’è tra il quadro della condizione drammatica della crisi soprattutto per molte fasce di popolazione e molte famiglie, e gli strumenti di cui possiamo disporre. E infine più formazione, più investimenti nella scuola, nell’istruzione, nella ricerca e nell’innovazione. Perché è su questo terreno che si gioca anche per quanto riguarda l’Italia il suo futuro.

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