Intervista a Roberto Cicutto, presidente de La Biennale di Venezia – A cura di Pier Paolo Baretta e Vanni Petrelli

Cominciamo con lei, la sua esperienza diretta e le sue intenzioni. Lei ha dichiarato che intende tener viva la Biennale 365 giorni all’anno. Eppure il suo esordio nel 2020 è stato tutt’altro che facile: prima il lockdown, arrivato pochi giorni dopo la sua nomina; poi il blocco del Canale di Suez, che ha ritardato l’allestimento dei padiglioni di diversi paesi. È stato costretto a cambiare programmi. Come ha superato queste difficoltà? Come si ripensa una manifestazione di questo tipo in epoca Covid? Manterrà l’impegno di una apertura totale?
Biennale 365 giorni l’anno è una semplificazione per dire che Biennale, oltre alla produzione delle Mostre e dei Festival, deve sviluppare un’attività in seno all’Archivio Storico delle Arti Contemporanee (ASAC) nella direzione di un centro internazionale per la ricerca sulle arti contemporanee aperto al mondo della formazione, della ricerca e della collaborazione con altre istituzioni locali e internazionali. Un progetto che è diretta emanazione del trasferimento dell’ASAC dal VEGA a edifici dell’Arsenale (Magazzino del ferro) già finanziato dal Ministero della Cultura. Progetto reso possibile da un accordo fra Biennale, Comune e Marina Militare e che entrerà in quello più complesso di investimenti sul finanziamento a valere sul PNRR.
L’esordio non è stato facile ma al tempo stesso la situazione di apparente inattività ha consentito di riflettere su quanto detto sopra e cominciare un dialogo con la città e le altre istituzioni culturali e formative. La cancellazione della Mostra di Architettura nel 2020 non ha impedito di realizzare nel Padiglione Centrale dei Giardini la Mostra “Le Muse Inquiete-La Biennale di Venezia di fronte alla Storia” per la prima volta curata dai sei direttori in carica. Segno di un dialogo concreto fra Arte, Architettura, Cinema, Danza, Musica e Teatro.
Più che cambiare programmi abbiamo dovuto adottare un metodo che ci consentisse giorno dopo giorno di comprendere la reale fattibilità delle nostre produzioni. La realizzazione della Mostra del Cinema l’anno scorso, riconosciuta da tutti come un esempio di efficienza e assunzione di responsabilità nel poter fare un evento internazionale in presenza e al tempo stesso in sicurezza, è stata una grande scuola. La collaborazione con le autorità locali e sanitarie, nel rispetto delle linee dettate dal governo, e la grande serietà di chi vi ha partecipato (addetti ai lavori e pubblico), è stata applicata anche per quanto abbiamo fatto dopo (Festival di Teatro Danza e Musica) e ci ha consentito di realizzare quest’anno la Mostra Internazionale di Architettura che sta avendo un successo di visitatori inaspettato, superando di molto le presenze della mostra pre-covid del 2018.

Lei è un veneziano che ritorna. Come ha vissuto questo rientro e come ha ritrovato la sua città dopo tanti anni di… romanità?
Sono venuto a Venezia la prima volta a fine febbraio 2020 e dopo meno di 2 settimane c’è stato il primo lockdown. La prima sera ho fatto una passeggiata e in quel silenzio, in pieno inverno con qualche accenno di acqua alta, ho ritrovato le atmosfere della mia giovinezza. Mi sembrava di rivedere le persone con cui frequentavo campi e calli, amici di scuola e i loro genitori seduti al bar in Campo Santo Stefano. Essendo stato uomo di cinema era come vivere un flashback dove tutto era immutato, dimentico del frastuono dei turisti e dei trolley (era più o meno il periodo in cui avrebbero dovuto svolgersi gli eventi del Carnevale).
La città e molti fra coloro che conoscevo e ancora la abitano hanno mantenuto abitudini e in gran parte anche atteggiamenti verso la vita dei tempi in cui andavo al liceo (parliamo degli anni ’60). Ovvio che dei mutamenti ci sono. Lo stato di conservazione e restauro di molti palazzi e case è decisamente migliore di allora. Ma la tanto citata monocultura turistica si tocca con mano. La quantità di edifici dedicati all’ospitalità, la trasformazione di locali anche storici divenuti identici a quelli di altre città di terraferma, la scomparsa di tanti negozi e piccoli laboratori artigiani così come l’invasione di punti vendita di materiali “scappa e fuggi” non può non saltare agli occhi. Ma assieme a questo l’offerta culturale è molto aumentata. Io ho visto per decenni il teatro Goldoni chiuso (anche se c’erano molte più sale cinematografiche ma questo è un fenomeno globale). La presenza di tante fondazioni internazionali ha portato alla riqualificazione di zone del centro storico, istituzioni di fama mondiale come La Fenice sono tornate al centro dell’offerta culturale internazionale, ma anche l’apertura di Musei (penso all’ M9) in terra ferma ha contribuito a una riqualificazione strutturale e culturale di notevole spessore.
Quello che ancora manca è un maggior dialogo fra tutto il mondo della cultura pubblico e privato che con una maggiore collaborazione potrebbe fare di Venezia e del Veneto uno dei luoghi più ricchi di offerte culturali del mondo.

Di recente è uscito il libro “Il Giardino e l’Arsenale”. Una sorta di autobiografia “professionale” del suo predecessore, Paolo Baratta. Natalia Aspesi, su Repubblica, ha descritto un ritratto… su misura. Lasciamo perdere l’età, la chioma o la barba. Il senso è che il Presidente della Biennale ha un ruolo pubblico, di responsabilità verso la comunità, non solo verso il suo lavoro. E deve interpretarlo. Condivide?
Condivido assolutamente. La cultura e le sue istituzioni più importanti devono porsi come attori di sviluppo anche economico. La pandemia ci ha fatto capire quanto valore la cultura porta nella società. Quanto i contenuti siano indispensabili a migliorare la qualità della vita e la coscienza civica, ma anche quante centinaia di migliaia di famiglie vivano lavorando in quest’ambito. La Biennale si sta ponendo l’obiettivo, oltre a quanto previsto nella sua mission per la valorizzazione e la ricerca in campo internazionale delle arti contemporanee, di superare l’impatto economico che deriva dall’indotto portato dalle centinaia di migliaia di persone che vengono a visitare mostre e festival, e divenire produttore di lavoro essa stessa. Lo possiamo fare riqualificando ancor più di quanto fatto zone cittadine e di terraferma (Venezia, Lido, Mestre, Marghera) creando le condizione per una ripopolazione di queste zone con persone che ci lavorano a tempo pieno. Il trasferimento dell’Archivio storico delle Arti Contemporanee (ASAC) all’Arsenale e il suo sviluppo in un centro internazionale di ricerca va esattamente in questa direzione.

Ma, con riferimento a Baratta, cosa ha raccolto di quella importante eredità e, come è giusto, cosa intende innovare?
Paolo Baratta ha costruito una Biennale efficiente e autonoma grazie alla legge speciale che l’ha trasformata in Fondazione di diritto privato. L’ha dotata di nuovi spazi che sempre di più saranno adibiti a funzioni proprie della Biennale ma anche ad uso cittadino nei periodi in cui non si svolgono le nostre manifestazioni e festival. Ha rotto uno schema farraginoso e immobilizzante che rispondeva a criteri di rappresentatività nel Consiglio di Amministrazione che di fatto impedivano la sua funzionalità. Ha inoltre portato le due mostre più impegnative (Arte e Architettura) a dei livelli di partecipazione che gli ha fatto giustamente affermare che il socio di maggioranza della Biennale è il pubblico che la visita. Sta succedendo addirittura in tempo di Covid. La Mostra di Architettura supera in presenza quella del 2018 e la Mostra del Cinema ha fatto solo un -7% di quella del 19. Ora dobbiamo investire di più in Teatro Musica e Danza, che portano a Venezia eccellenze e sono il motore principale del progetto di interdisciplinarietà che vogliamo sviluppare.

Passiamo ai programmi della Biennale. La Biennale non è solo uno straordinario evento culturale, la Casa di 6 arti, ma rappresenta una eccezionale “macchina da guerra” (come lei l’ha definita) anche sul piano economico. Quale è il ruolo della Biennale oggi, nel contesto, drammatico e affascinante, di cambiamento che sta vivendo la società contemporanea?
La Biennale è soprattutto un grande e unico osservatorio del mondo. Quando incontro (in Zoom) i commissari di tutti che i padiglioni nazionali (Giardini e Arsenale) che partecipano alle Mostre d’Arte e di Architettura, mi rendo conto della forza di attrazione che La Biennale esercita. Ma al tempo stesso questa internazionalità ci consente di costruire una mappa geopolitica che racconta moltissimo delle differenze politiche, culturali, economiche delle nazioni partecipanti. Attraverso uno studio attento dei dati che si possono raccogliere (e lo stiamo facendo con Università e Istituti di Alta Formazione) troveremo un modo di raccontare la storia del XX e dei primi due decenni del XXI secolo attraverso lo sviluppo delle arti.
Facendo questo la Biennale applica un criterio scientifico da sperimentazione laboratoriale in cui “testare” soluzioni utili per arrivare a una sostenibilità che coinvolga tutti i settori critici della società contemporanea: clima, innalzamento delle acque, conservazione di patrimoni architettonici e dei beni culturali in essi contenuti, divulgazione per fini formativi di questi contenuti, percorsi di decarbonizzazione negli allestimenti e nei consumi legati a mostre e festival, e via via tutto ciò di cui si parla continuamente ma non si riesce a concretizzare.

“Il sostegno alla cultura è cruciale per la ripartenza del Paese”: lo ha detto il premier Mario Draghi nel suo intervento al Colosseo al G20 della Cultura. La Biennale ha ricevuto circa 170 milioni dal piano NGEU. Come verranno utilizzati?
La risposta sta già in quanto detto precedentemente: investimenti infrastrutturali a favore della Biennale e del territorio, efficientamento energetico, processo di decarbonizzazione, cooperazione con le altre istituzioni culturali e istituti di alta formazione (italiani e stranieri), residenzialità per ricercatori e studiosi e apertura agli studenti di tutti i livelli di apprendimento, riqualificazione di zone degradate ma al fine di realizzare progetti già predeterminati. Non vogliamo costruire cattedrali nel deserto ma dotarci di luoghi in cui sappiamo cosa fare e che siano utili.

Ma, oltre ai finanziamenti, quali politiche servono per mettere in pratica quanto dichiarato dal Presidente del Consiglio?
Il ministro della Cultura Dario Franceschini sostiene che il vero Ministero dell’Economia nel nostro paese sia quello della cultura. La Biennale grazie all’intuizione del Sindaco Selvatico ben 126 anni fa ha costruito un luogo della diplomazia culturale dove il dialogo continua anche contro le crisi della politica. Questo è uno strumento eccezionale per valorizzare tutti gli aspetti della cultura nel confronto anche politico sul piano interno e internazionale. Dobbiamo superare il male atavico del campanilismo e cominciare a pensare che la cultura come la sanità è un bene pubblico che deve avere una diffusione capillare e che non può essere separata dalla formazione scolastica. Il mondo ha capito che fare o partecipare a tutte le offerte culturali non può essere appannaggio di ceti privilegiati. E come la sanità, deve trovare un equilibrio fra il sostegno pubblico e la collaborazione con i privati.
Sono state messe in atto politiche importanti come l’Art Bonus per gli investimenti in beni culturali e il tax credit per l’audiovisivo. Bisogna spingere in questa direzione.

Tra le sue recenti proposte c’è la creazione di un sorta di database per mettere in rete l’intero patrimonio della città, a disposizione di tutti. Di cosa si tratta?
E’ molto semplice. Penso che un ricercatore o uno studioso che venga in Biennale o alla Cini o alla Marciana debba poter avere accesso anche ai contenuti delle altre istituzioni per poter impostare su larga scala la propria ricerca. Avere un database che mette in rete almeno la catalogazione di quanto conservato in ogni archivio della città sarebbe un utile supporto e un ulteriore stimolo per scegliere Venezia come luogo di studio.

In cosa consiste l’avvio del “percorso di neutralità carbonica delle attività della Biennale”, annunciato recentemente?
Abbiamo iniziato con la Mostra del Cinema di quest’anno. Sulla base del raffronto fra i dati del 2020 e quelli del 2021 si sono potuti accertare i criteri per determinare la quantità di emissioni di CO2 dovute a tutti gli aspetti delle nostre attività. Si parte dagli allestimenti, passando per le presenze dei visitatori, le notti di permanenza, l’uso dei trasporti, lo smaltimento dei rifiuti, i disallestimenti, etc etc, per determinare le azioni concrete da mettere in atto. Già da quest’anno è stata fatta una compensazione economica a favore di progetti già in corso per la riduzione di emissioni di CO2, e si procederà per tutte le nostre attività con il mettere concretamente in atto comportamenti virtuosi e certificati. Per tutti coloro che lavorano per la Biennale e per tutti coloro che vi partecipano (padiglioni nazionali, visitatori..) saranno approntati dei “protocolli di comportamento” cui attenersi.

Parliamo ora del rapporto tra la Biennale è la città. La dimensione internazionale della Biennale la porta ad avere rapporti che possono prescindere dalla sua collocazione veneziana, anche se essere qui è certamente un valore aggiunto. Quali sono davvero i rapporti tra la Biennale e Venezia? Sono solo legate da un rapporto di pura territorialità o c’è qualcosa che va oltre? E, in questa ottica, cosa rappresenta Venezia per la Biennale e viceversa?
La Biennale è identificata con Venezia e non può essere una ulteriore isola della città. La Biennale è trasversale a tutti i settori di attività culturale ed economica non solo della città lagunare ma anche del Lido e della terra ferma. La risposta a quali debbano essere i rapporti fra Biennale e il territorio è già contenuta in quanto detto prima.

“Quale è il contributo della Biennale alla economia veneziana? Oggi si parla molto di resilienza. Nei suoi 1.600 anni di storia Venezia ha resistito a numerosi conflitti conservando per secoli la sua identità e autonomia. Oggi sembra una città stanca, eppure sembra esserci una resilienza congenita nella città e nei veneziani. Condivide e come valuta ciò?
Condivido assolutamente ma dobbiamo cominciare a pensare che la resilienza da sola non basta. Oggi vorrei che la parola chiave diventasse “sviluppo sostenibile”. Reagire è importante ma lavorare perché si possano affrontare nuove crisi è la vera sfida.

Ogni anno Venezia ospita 30 milioni di turisti, che sono la fortuna della città ma ne rappresentano anche un rischio per la tenuta. Come percepisce la Biennale questo fenomeno e come si dovrebbe governarlo? Si possono porre delle limitazioni e quali?
Ci siamo posti molte volte la domanda se la Biennale come altre manifestazioni culturali dovessero ricorrere alle nuove tecnologie per la diffusione di questi contenuti limitando le presenze fisiche. Abbiamo combattuto l’uso sostitutivo delle nuove tecnologie rispetto al valore aggiunto che da l’esserci e il condividere con altri esperienze umane e comunicative insostituibili. Penso che le nuove tecnologie siano importanti per regolare non per sostituire la presenza.
Pensando al turismo e a soluzioni che non si limitino a porre un tetto alle presenze e che al tempo stesso non sia discriminatorio, credo che le nuove tecnologie siano fondamentali. Un sistema di prenotazioni che indichi anche le intenzioni di chi viene a Venezia (visitare i musei, partecipare ad un evento, andare in spiaggia, fare una passeggiata…) consentirebbe di instaurare un dialogo a distanza con il visitatore e tracciare i diversi flussi per capire dove si crea l’ingorgo. Sapere (senza voler ovviamente imporre nulla) le principali direttrici di chi arriva in città consentirebbe di equilibrare le diverse esigenze evitando l’invasione disorganizzata. Ovviamente è solo una riflessione che non ha, né può avere, certezza scientifica non essendo io un esperto in materia, ma la piccola esperienza di regolazione delle presenze alla Mostra del Cinema o di Architettura mi ha fortemente convinto che un dialogo con chi partecipa è necessario anche per migliorare la qualità della visita.

Venezia è una città complessa, suddivisa in più parti. Non è solo la città d’acqua, ma la terraferma ha un ruolo straordinario. Nel frattempo la città si spopola… sempre più sembra una città per vecchi, seconde case e vacanzieri. Le previsioni sul cambiamento climatico sono preoccupanti. C’è un ruolo fondamentale della cultura per aiutare la presa di coscienza e cercare risposte. Cosa può fare la Biennale per favorire ciò?
La Biennale, per sua natura, attraverso i temi proposti dai curatori è un trampolino per nuove idee. Dico sempre che deve essere più contemporanea delle arti che rappresenta perché essendo la sua storia (come quella dell’umanità) fatta di tante contemporaneità, ha acquisito un’esperienza fortissima che partendo da quanto è successo prima lancia i temi del futuro. E’ sempre stato così e ogni censura in questo senso è stata sconfitta. Si può essere d’accordo o meno con l’impostazione delle mostre. La mostra di architettura di quest’anno è piaciuta alla stragrande maggioranza dei visitatori e ha trovato critiche in alcuni addetti ai lavori perché pone interrogativi ma non dà, secondo loro, soluzioni.
Nel porre un interrogativo si dà l’indicazione fondamentale perché “gli esperti” trovino le soluzioni possibili ed è questo soprattutto che l’arte deve fare.

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